Avellino: Fontana Tecta e Sant' Antonio Abate
di Andrea Massaro
La vista che offriva la zona del Borgo di Sant’ Antonio Abate, quartiere vivo fino agli anni ‘70 per scomparire dalla scena prima antropologicamente, e poi fisicamente, era quella di una intensa comunità pulsante di vita e di umanità, tutta particolare.
Sant’Antonio Abate e Rampa Macello sono due arterie importanti della città che precipitavano nel breve pianoro del Fenestrelle. Al suo interno viveva un variegato campionario umano, da lunghissimi secoli insediato sul posto.
Nel Borgo di Sant’Antonio Abate la vita avellinese ha conservato
il suo aspetto più genuino fino agli anni ‘50 di questo secolo.
Un primo esodo della popolazione si è avuto proprio in questi anni.
Soggetto a paurose alluvioni, a condizioni malsane e al degrado, la zona ha rappresentato sempre uno sconcio socio-edilizio che i vari interventi al suo risanamento non hanno risolto, se non in parte, il grave problema.
I Sindaci Turco e Scalpati, tra il 1967 e 1969, hanno firmato centinaia
di ordinanze di inabilità di alloggi ricadenti nel vecchio borgo. Ciò
ha provocato una trasmigrazione urbana da Sant’Antonio Abate verso i
quartieri popolari di Rione Parco, Ferrovia, Mazzini ecc.
Vera città fantasma, a fine anni ‘70 con i colpi del terremoto del 23
novembre 1980 il rione ha perso il naturale aspetto vitale.
Le mastodontiche ruspe della ricostruzione hanno, poi, pensato a cancellare ogni ricordo e hanno consentito di stravolgere ogni testimonianza del passato.
I nuovi insediamenti, primo fra tutti il complesso municipale, hanno
definitivamente dato un nuovo volto a quello che fu l’antico suburbio,
caro alla memoria di Raffaele Valagara e Alfonso Carpentieri.
I resti che testimoniano questo passato sono le ultime vestigie presenti
quali la Chiesa di San leonardo, la Madonna della Salette e la Fontana
Tecta.
Quest’ultima è stata di recente oggetto di particolari studi che hanno
tentato di scoprire la sua storia secolare. in particolare di essa si
è occupato Armando Montefusco in un prezioso e valido saggio apparso
nel 1991 sul numero unico 3-4 della "Rassegna Storica Irpina" (p.43).
Storici recenti e passati indicano nell’anno 1057 l’anno della costruzione
della Fontana Tecta. Ma, per la verità, lo studio di Montefusco avanza
seri dubbi su quanto sinora conosciuto, anche nell’uso improprio del
nome che, dovrebbe essere in quello esatto di "Fontana di Grimoaldo",
secondo quanto si evince dai documenti più probanti.
Quest’ultimo, appartenente ad una delle famiglie più in vista di
Avellino, durante il XII secolo, ritiene che il Borgo, sempre più in
espansione e sempre più frequentato dai numerosi passeggeri che si recano
verso Salerno, o che da Salerno fanno ritorno ad Avellino, meriti qualCosa
di più di una fontana dimessa e poco accogliente.
Tale intervento trova una sua plausibile giustificazione anche nella
presenza della chiesa di San Leonardo e dell’attiguo Monastero che accoglie
numerosi fedeli, alla ricerca di luoghi edificanti al corpo e all’anima.
Un importante contributo sulla storia della Fontana si trova nel Codice
Diplomatico Verginiano (C D V , vol. III, pag.219, 1979) redatto da
Don Placido Tropeano il quale, in una nota esplicativa, così commenta
il documento oggetto del suo studio:
La chiesa di S. Leonardo con annesso monastero era un priorato benedettino dipendente dalla Badia di Cava dei Tirreni, ubicato fuori le mura della città di Avellino, lungo la strada per Salerno "a foras et propinquo civitate Avellini, erga via publica que dicitur Salernitana" (AC, arca XXIV,n. 72) (n.d.A. dicembre 1138), a poca distanza da una fontana fatta costruire da un certo Grimoaldo, "in loco ubi Fontana Grimoaldo dicitur", per comodità forse del casale di S.Benedetto sorto lungo la stessa strada erga pubblica que dicitur Salernitana...in casali de monasterio Sancti Benedicti" (cfr. doc. 260). La chiesa e la fontana esistono ancora a fondovalle della stradina interna (la salernitana dei documenti), che scende da Via Umberto I? sotto la torre dell’Orologio e poi risale per immettersi subito dopo il ponte della Ferriera.
Grimoaldo sa rendere la fontana accogliente e graziosa. Il tocco
dell’artista presente nelle pietre scolpite, nelle colonne lavorate
e nell’ambiente che la circonda fanno della Fontana un luogo di utilità
e di piacere non comuni.
La gente del rione si avvicina al suo getto di acqua, pura e fresca,
con naturalezza. Generazioni di donne si affaccendano con i loro panni
presso l’inesauribile fonte che dalle viscere della terra raccoglie,
purifica e scaturisce perenni zampilli di preziosa e gratuita acqua
salutare.
Meta di pellegrini e viandanti assetati, viaggiatori e trafficanti,
la Fontana Tecta è stata fedele compagna di vita di generazioni di bambini,
uomini e donne del Borgo di Sant’Antonio Abate e San Leonardo.
Nel 1650, dopo i gravi tumulti della rivolta di Masaniello, l’Università
di Avellino impegna il pubblico danaro per costruire due lavatoi "per
servizio dei cittadini et per decoro della città".
Dopo l’apertura della strada dei Due Principati, evvenuta all’inizio
dell’800, il vecchio tracciato per
Salerno cambia definitivamente e la Fontana nel fondovalle viene
sempre più trascurata.
La particolare posizione orografica della Fontana di Grimoaldo la
pone al centro di numerosi pericoli, specialmente alluvionali.
Non sono pochi, infatti, gli episodi tristi verificatisi nel Borgo di
Sant’ Antonio Abate - San Leonardo a seguito di tragiche inondazioni.
Nel 1843 e, in particolare, nel 1878, due forti calamità interessarono
seriamente anche l’antica Fontana.
Nel 1843, nella notte del 12 novembre, la piena delle acque formatasi a seguito di pioggia dirotta, cagionò gravissimi danni nella zona del Centro Storico. Oltre alle strade campestri gravi danni si ebbero alla strada S.Leonardo nel punto che questa si congiunge con la strada interna di Sant’ Antonio Abate. A subire danni seri furono la Fontana della Ferriera, gli acquedotti sotterranei posti nella strada dietro il Vescovado e l’acquedotto che alimenta la Fontana Tecta.
Appena spuntata l’alba del giorno seguente, dal Comune di Avellino s’invia
una nota all’Intendente della provincia al fine di ottenere l’autorizzazione
ad intervenire con urgenza, anzi "senza perdita di tempo", come riporta
la nota del Sindaco Antonio Mirabelli, del 14 novembre 1843, con la
quale chiede di poter impiegare la somma provvisoria di 80 ducati per
un primo intervento straordinario. Ma la sollecitudine del Sindaco è
frenata dalla risposta dell’Intendente Lotti il quale prescrive che
sia approntata "una perizia in doppio per le restaurazioni che abbisognano
le stradi campestri e le fontane".
Tra una istanza e l’altra passa circa un mese. Il 15 dicembre seguente
è il Decurionato a deliberare la sistemazione della strada di S.Leonardo,
della Fontana della Ferriera e della storica Fontana di Borgo Sant’
Antonio Abate. Anche il canale che alimenta la Fontana Tecta è inserito
nei lavori di restauro. Ad alimentare la nostra fontana è il canale
che si diparte dal podere di Don Pasquale Roca che, dopo un breve percorso,
si immette nelle cannelle della Fontana di Grimoaldo. Il canale rimase
distrutto in diversi punti, per cui il suo ripristino era "reclamato
dall’universale bisogno della popolazione", in gravi difficoltà per
la mancanza d’acqua in quei giorni a causa anche della contemporanea
inutilizzazione delle fonti della Ferriera e delle altre fontane cittadine,
compresa quella del Fanzago di Via Costantinopoli.
Nel maggio del 1844 il muratore Angelo Pagnotta presenta una perizia
di 64 ducati per lavori eseguiti nel Borgo di San leonardo ove si sono
avuti interventi di riparazione anche del ponte S.Leonardo, dietro al
Mulino di Sant’Antonio Abate, e quello di Rio Cupo.
Più grave, invece, l’inondazione del 13 e 14 ottobre 1878.
Il quartiere del Centro Storico, il più antico di Avellino è stato
sempre il più esposto a calamità e pericoli, sia per la vetustà dei
fabbricati ivi esistenti, sia per la sua ubicazione, essendo la zona
più bassa della città, quindi più vulnerabile, spesso soggetta ad inondazioni
ed altri inconvenienti del genere.
La quiete della notte tra il 13 e 14 ottobre del 1878 fu turbata, verso
le due, da una inaudita pioggia e dopo poche ore la zona bassa della
città era invasa dalle acque che, in alcuni punti, oltrepassò i due
metri.
La descrizione si presenta davvero apocalittica.
La prima contrada ad essere distrutta fu quella di S.Antonio Abate:
case diroccate, lesionate, spogliate di quelle poche masserizie di cui
disponevano, ponti spezzati, alberi divelti e moltissime famiglie scampate
dalla morte, rimasero senza tetto e si ebbero ben 15 vittime.
Una guardia daziaria nel disperato tentativo di salvarsi, si arrampica
sui bastoni di ferro di un fanale posto sul muro della chiesa di S.Antonio
Abate, della Madonna della Salette, ivi venerata, ma il crollo di questa,
ne causa la morte.
Alle Fornelle, parecchie case sono letteralmente scomparse nei flutti,
altre distrutte e molte pericolanti.
A Rio Cupo ( località, oggi, risanata, mediante la copertura del torrente
ed il riempimento con materiale di risulta, diventato suolo edificatorio,
con superbi e moderni palazzi...), molti abitanti si salvarono, praticando
fori sui muri delle case.
A Molino Santo Spirito (località sita alle spalle della Chiesa di Monserrato
ed al Convento delle Suore Stigmatine ), nuove vittime ed altri danni.
Una povera madre, Vincenza Matarazzo, muore annegata nel tentativo di
soccorrere il suo figlioletto. In questa località furono rinvenuti alcuni
cadaveri, trascinativi dalla corrente. In questa località fu ripescata
anche la Statua della Madonna della Salette. Per più chilometri, sino
alla vicino Atripalda la campagna era una immensa palude. I mulini della
zona furono resi inservibili.
Nel registro dei Morti della Parrocchia di S. Maria di Costantinopoli,
trovansi registrati dal Parroco dell'epoca ( Don Giuseppe Piemonte)
tredici vittime. Le vittime e i danni sarebbero stati certamente di
proporzioni ben più gravi, se l'intervento della forza pubblica, dei
carabinieri, delle Autorità e di molti
volenterosi cittadini non fosse stato tempestivo.
La catastrofica alluvione di quell’anno distrusse gran parte della
contrada di Sant’Antonio Abate. Case distrutte e lesionate oltre 15
vittime. Gravemente danneggiata la Chiesa di Sant’Antonio dove si venera
la Madonna della Salette, la cui statua fu rinvenuta a Molino S. Spirito.
Case sotto i flutti alle Fornelle, e a Rio Cupo.
La nostra Fontana fu sommersa dalle acque prima e dalle pietre e dai
detriti poi. Soltanto dopo alcuni giorni l’acqua riprese ad essere nuovamente
usata e la popolazione del luogo continua ad apprezzare la sua utilità.
Abbandonata completamente, nel dopo terremoto rischia addirittura di
scomparire del tutto e soltanto un accorto intervento di restauro la
rimette in sesto.
Ma, malgrado questi accorgimenti, la Fontana è sola. Al suo intorno
manca quella umanità abituata al suo sonoro chiacchiericcio.
Il frettoloso e veloce automobilista che vi passa accanto è assordato dal rombo del motore della sua auto e non riesce a cogliere il suono argentino di una Fontana che si è cullata per molti secoli tra la gente di Avellino di un tempo, ormai definitivamente perduto.