La cappella del tesoro di San Modestino Patrono di Avellino

di Andrea Massaro

 Nella mattinata del giorno 14 febbraio 1993 fu tenuto nel Duomo di Avellino un solenne pontificale in onore di San Modestino, Vescovo e Martire, e dei Santi Flaviano e Fiorentino, primi martiri d’Irpinia.

Il pontificale celebrato dal Vescovo Mons. Gerardo Pierro, assunse un significato particolare in quanto, quella stessa mattina, la solennità della festa del Santo Patrono vedeva la riapertura della Cappella del Tesoro di San Modestino, chiusa da alcuni anni per urgenti lavori di restauro.

Alla Cappella di San Modestino sono legate luminose pagine della storia civica e religiosa di Avellino.

All’interno del Duomo la navata sinistra raccoglie un artistico e sacro luogo destinato a custodire quanto di più prezioso conserva il nostro Duomo quale segno di venerazione e devozione mostrate dalla città intera e dei suoi abitanti unitamente ai capi spirituali e amministratori civici.

La recente apertura della Cappella di San Modestino ha consentito alla città di rituffarsi in un lungo periodo di fasto e di splendore tutto barocco.
Risale, infatti, al 1653, l’affidamento all’Università (Comune) dello ius-patronato sulla Cappella di San Modestino.

Tra i molteplici interventi operati negli abbellimenti e nei restauri della Cappella il più indicativo per la vastità dei lavori e per il valore artistico profusi è stato quello del 1697 che vede la presenza in Avellino di Giovan Battista Nauclerio, la cui formazione è avvenuta accanto al Vaccaro, al Sanfelice e a Francesco Solimena.

Oltre al Nauclerio, in questi anni di fine XVII secolo, si portarono nel Duomo di Avellino ad abbellire la Cappella di San Modestino numerosi altri artisti e artigiani, già affermati a Napoli.

Nella "Rassegna Storica Irpina" del 1990 (n?1-2), l’Architetto Luigi Guerriero ha svolto una egregia ricerca sulla presenza del Nauclerio nei lavori eseguiti negli ultimi anni del ‘600 nella Cappella del Tesoro della Cattedrale di Avellino.
Lo studio ha utilizzato, tra le altre, fonti archivistiche dei notai di Napoli e dell’Archivio Storico del Banco di Napoli.

I documenti, tutti inediti, consultati dal Guerriero hanno confermato la preziosità del lavori apportati nella Cappella.
L’intervento di abbellimento e di restauro si rendeva necessario a seguito dei danni causati dal terremoto del 5 giugno 1688.
Già da un trentennio prima del terremoto del 1688 l’Università di Avellino si era adoperata per riparare la Cappella di San Modestino la quale, così come l’intera Cattedrale, versava in condizioni miserevoli.
I governanti cittadini nel 1653 avevano ottenuto il regio assenso per tali lavori che prevedevano anche la costruzione di un luogo idoneo nel quale si "debiano venerare le Sante Reliquie tanto di detto Glorioso Santo Modestino quanto d’altri Santi".
Ma l’infuriar della terribile peste di pochi anni dopo (1656), ed il terremoto del 1688 fanno passare l’intervento come di secondaria importanza per cui bisogna attendere l’anno 1697 quando il Sindaco della città, Ludovico Amoretti, incarica numerosi artisti di Napoli ad occuparsi dei lavori nella Cappella di San Modestino.
Il progetto generale è affidato all’Architetto G.B. Nauclerio, già noto per numerosi e validi lavori eseguiti nelle principali chiese di Napoli.
Gian Battista Nauclerio progettò, su commissione degli amministratori pubblici, la trasformazione della Cappella con lavori all’altare, al pavimento, alla cancellata e ad altri interventi nelle vetrate, e nell’inferriata della finestra sopra la cona della Cappella.
Il progetto firmato dall’Architetto Nauclerio vede la partecipazione ai lavori di numerosi artisti e artigiani di provata bravura.
Da Napoli veniva il "marmoraro" Ferdinando de Ferdinando il quale si occupò dei marmi per l’altare maggiore e della balaustra, oltre che dei puttini e delle teste dei cherubini poste al di sopra della cona.
Il "marmoraro" napoletano realizzò anche la lapide che la civica amministrazione volle apporre all’ingresso della Cappella e che il De Franchi ha riportato nella sua opera, Avellino Illustrata da’ Santi e da’ Santuari, edita a Napoli nel 1709.
La lapide portava incisa la seguente dedica:

Divo Modestino
Sacellum Terreamotu concussum,
Damnis in lucra cedentibus
Aere publico, ampliori Cultu,,
Tutelari Suo Cives PP Anno 1697.

Tra gli artefici dei lavori alla Cappella di San Modestino eseguiti in quell’anno figurano ancora lo stuccatore Domenico Martiniello, il "riggiolaro" Francesco Anastasio, il "mastro ferraro" Antonio de Martino, il "vetraro" Pietro Piricopi ed il suo collega Agostino Maiello, i quali si occuparono delle vetrate delle finestre. Quella principale, eseguita dal Piricopi, fu disegnata direttamente dall’Architetto Nauclerio e rappresentava una splendida coda di pavone aperta a raggiera. Il Maiello, invece, lavorò ai vetri delle sei finestre aperte nel tamburo della cupola della Cappella del Tesoro.
Ad affiancare l’opera di tanti artisti interverranno anche altri provetti artigiani già impegnati in varie località del Regno.
Al "mastro ottonaro" l’Università cittadina, rappresentata dal Sindaco Ludovico Amoretti e dagli Eletti Marco Antonio Rosso e Francesco Bellabona, commissiona la decorazione in ottone della cancellata della Cappella il cui disegno è affidato alla matita del Nauclerio.
Tra gli artigiani che prendono parte ai lavori figura anche l’intagliatore avellinese Domenico Cesa, artefice dei due armadi per custodire le "Sante Reliquie". Il legno da adoperare dev’essere di "castagno" per gli armadi, mentre per i fregi e gli intagli sarà utilizzato "legname de teglie" e di "chioppo di Cervinara".
Il citato De Franchi, il quale descrive la Chiesa Cattedrale a pochi anni dagli interventi del 1697, nota come nella Cappella del Tesoro si conservano dodici statue di "gran Santi", fatte da abili argentieri. Le statue in argento dei Santi Modestino, Fiorentino e Flaviano, nonchè quelle di San Lorenzo martire e San Gennaro, vescovo e martire, erano state realizzate nel 1673.
Uno dei più noti argentieri di Napoli, Biagio Guariniello, al quale va anche l’esecuzione del reliquario della S. Spina del Duomo di Avellino nel 1701, operò nella realizzazione di molte statue d’argento, alcune su modello e disegno di Lorenzo Vaccaro, consegnate per la Cappella del Tesoro della Cattedrale di Avellino.
Molte di queste statue d’argento furono trafugate dai francesi nel 1799. Tra queste anche un Busto di Sant’Apollonia, eseguito dal Guariniello del 1701.
Accanto al Guariniello furono attivi nella Cappella due argentieri napoletani di grande valore: Giovan Angelo Scognamiglio, autore delle urne contenenti le reliquie dei Santi Bartolomeo e Mattia, mentre un’altra urna conteneva quelle di S.Oronzio. A Giovan Battista Ghedini, infine, intagliatore di buona fattura, fu commissionata l’esecuzione del reliquario a forma d’angelo contenente una reliquia del Beato Andrea d’Avellino.
Tutti questi artisti furono chiamati a rendere bella e magnificente la Cappella del Santo Patrono al quale gli avellinesi non mancavano di tributare culto e devozione, specialmente nella fastosa processione.
La festività di San Modestino nei secoli scorsi rappresentava un momento di intensa fede vissuta. Essa si celebrava il 10 giugno, a ricordo della traslazione del Corpo del santo che nell’anno 1166 fu portato dal vescovo Guglielmo, unitamente alle reliquie dei santi Flaviano e Fiorentino, nel Duomo.
La data del 10 giugno fu scelta anche per celebrare il sinodo diocesano e una importante fiera aveva luogo nello stesso giorno, la quale è stata tenuta in vita sino al secolo scorso.
Sempre nella medesima giornata una grandiosa e solenne processione si snodava per le vie cittadine per accompagnare il busto del Santo Patrono e di altri Santi dal Duomo alla chiesa di San Carlo sita in piazza Libertà. La processione si apriva con in testa al corteo gli archibugieri civici e i membri delle dodici Confraternite. Il Sarro ricorda gli ordini religiosi presenti in Avellino: i Conventuali, i Cappuccini, i Camaldolesi, i Fatebenefratelli, i Verginiani e gli Agostiniani, tutti al seguito del Santo unitamente al Vescovo e al Sindaco.
Dopo la veglia notturna nella chiesa di S.Carlo le statue venivano nuovamente riportate nella Cattedrale tra le luminarie e lo sparo di fuochi artificiali.
Nei lavori intrapresi dal Vescovo Francesco Gallo (1855-1896) agli inizi dell’anno 1857, durante i quali si ebbe la composizione della nuova facciata in stile neoclassico su disegno dell’Architetto Pasquale Cordola, anche la Cappella, collocata nel transetto sinistro, fu trasformata in più punti, fino ad assumere, dopo gli ultimi lavori di questi anni, terminati nel 1993, a pochi giorni dalla partenza di Mons. Gerardo Pierro alla sede arcivescovile di Salerno, il nuovo aspetto che oggi può essere ammirato dal pio visitatore che vi si accosta.
Nella Cappella sono conservati numerosi arredi, oggetti e paramenti sacri di grande valore confluiti nel Tesoro del Duomo a seguito della liberalità e munificenza di numerosi Vescovi di Avellino degli ultimi secoli.
Nella iconografia avellinese San Modestino, oltre che nel busto argenteo realizzato dall’argentiero napoletano Biagio Guariniello su disegno di Lorenzo Vaccaro, si ricorda la statua marmorea posta nella nicchia sinistra della facciata del Duomo durante i lavori di restauro voluti da Mons. Giacchino Pedicini.
Nelle pitture del Duomo e della Cripta esistono, poi, alcune immagini di San Modestino e Compagni dovute al pennello di Angelo Maria Ricciardi, eseguiti all’inizio del Settecento, mentre Achille Iovine ha rappresentato S.Modestino nelle pitture eseguite nella volta del Duomo durante l’episcopato di Mons. Gallo, negli ultimi anni dell’Ottocento.
Completamente distrutta, invece, la tela settecentesca eseguita nel 1697 dall’allievo di Luca Giordano, Giuseppe Simonelli, al quale il barone Francesco Antonio Amoretti, fratello di Ludovico, Sindaco in carica in quell’anno, commissionò la tela raffigurante i Santi Modestino, Flaviano e Fiorentino, collocata nella cona dell’altare della Cappella del Duomo.