Scopri la storia del caciocavallo impiccato un piatto tipico delle sagre della provincia di Avellino raccontata dallo chef Antonio Pisaniello.
Ormai non c’è sagra, evento gastronomico in piazza o anche semplice scampagnata tra amici che si rispetti che non lo ponga quale momento centrale di degustazione e aggregazione.
Stiamo parlando del caciocavallo impiccato, un must della cucina irpina: la classica forma di cacio a palla sospesa ad un cappio su un letto di brace che, raggiunto il punto di fusione, viene fatto scivolare su una fetta di pane e degustato ancora caldo.
Caciocavallo Impiccato
Le origini di questo singolare e suggestivo metodo di degustazione di uno dei prodotti principe dell’Appennino centro meridionale sono antichissime
La storia del caciocavallo Impiccato
Il cacio sciolto sul fuoco ed accompagnato al pane era il pasto più in voga tra i pastori nel periodo della transumanza, quando ci si spostava attraverso i pascoli seguendo il tragitto segnato dai tratturi.
Dopo una giornata di cammino ed in attesa di proseguire il viaggio, il momento del ristoro serale si svolgeva intorno al fuoco acceso per riscaldarsi.
Tra un racconto e l’altro, il tempo trascorreva mangiando pietanze semplici: tra questi pezze di formaggio che venivano fatte “sudare” sulla fiamma ed adagiate su fette di pane.
A raccontarlo è lo chef Antonio Pisaniello che ha vissuto in prima persona la prima vera esperienza del caciocavallo impiccato nel corso di un evento di piazza.
“Il primo caciocavallo impiccato per così dire pubblico – ricorda chef Pisaniello – è stato realizzato nel corso della Sagra della castagna di Montella nel 2000.
L’ideatore fu Simone Pizza, un giovane che insieme alla sua comitiva di amici, di cui facevo parte anch’io, pensò di proporlo nel corso della festa. L’idea nacque durante una serata alla birreria Johnnie Walker di Montella. Ricordo che si discuteva di formaggi, di come gustarli al meglio. E saltò fuori questo antico metodo di cottura, utilizzato dai pastori sia nostrani che francesi. Ci dicemmo: perchè non lo proponiamo alla prossima sagra?”.
Detto, fatto. E’ da una semplice chiacchierata tra amici che è nata, dunque, quella che è diventata in pochi anni una delle più ricercate delizie per il palato.
“Sia chiaro, non abbiamo inventato nulla di nuovo – chiarisce Antonio Pisaniello – . Però, da allora, si è diffusa un’usanza. Il caciocavallo impiccato è diventato una realtà. E mi fa davvero piacere pensare che ci siano tante famiglie che lo hanno messo a reddito e ne fanno una vera e propria attività. Ormai, si può dire che il caciocavallo impiccato è uno dei simboli della convivialità irpina a tavola, un po’ come il barbecue lo è per gli americani. E’ uno di quei piatti che non si gusta in solitudine ma rigorosamente in compagnia”.
Come si impicca un caciocavallo
L’arte di impiccare il caciocavallo richiede un formaggio giovane, meno salato, e l’utilizzo del cordino originale per l’impiccagione. Collegato a una catenella e un treppiede, il caciocavallo si posiziona a 10 centimetri dal fuoco, senza toccare la griglia, a differenza del pane casereccio che, bruscato, serve da base per la crema di formaggio.
Man mano che si scioglie, la crosta viene rimossa per lasciar colare la parte molle, facilmente porzionabile con una palettina. La fetta di pane, arricchita dal caciocavallo caldo, deve essere servita immediatamente per apprezzarne il gusto.
Il caciocavallo è meglio gustarlo puro, scegliendo la stagionatura in base al sapore desiderato: fresco per un sapore delicato di latte, o stagionato fino a sei mesi per un gusto più intenso di sale e grasso.
Per chi ama le varianti, si consiglia di abbinare il caciocavallo con il tartufo di Bagnoli Irpino, creando così una bruschetta speciale con un sapore unico.
Accompagnato da un bicchiere di ottimo aglianico, ca va sans dire.
Scopri altri piatti tipici della cucina avellinese