Mangiare bene senza spendere troppo. Ecco quali sono gli errori più comuni che si commettono nella scelta del menù al ristorante e che si pagano caro.

Pance piene e tasche vuote? Quando il conto è più salato delle aringhe servite come antipasto, non sempre è colpa del ristoratore.

Ecco gli errori più comuni che commettono, soprattutto le comitive, nella scelta delle portate al ristorante e che costano caro.

Il primo allarme

Il titolare del ristorante serve ai tavoli e prende gli ordini

Antipasto della casa, primi e secondi ordinati ad inizio pranzo o cena, vini ignoti a tre cifre, e per finire carrello di dolci e liquori free, che hanno una voce consistente nel conto, ma che magari avete mangiato e bevuto solo perchè già previsti nella comanda, ma che si rivelano un evidente eccesso alimentare.

Avere un contatto diretto con il titolare del ristorante è un aspetto molto apprezzato dai clienti. Se poi il titolare è anche lo chef meglio ancora.

Ma attenzione, dietro la “disponibilità” del gestore, la sua capacità di accoglienza, l’affabilità con la quale vi propone una pasta fagioli come se fosse l’ultima ricetta segreta di un master chef si nasconde la prima insidia.

Se siete clienti abituali, nessuna paura, lasciatevi consigliare, ma se siete avventori di passaggio è un chiaro intento, legittimo certo, di spillarvi qualche euro in più sul conto.

Quando entrate in un ristorante, per voi nuovo, attenetevi alla “carta” ed ai prezzi indicati.

Spesso, i fuori menù, il “pescato del giorno”, il taglio di carne appena arrivato frollato “millemila” giorni, proposti a voce, potrebbero riservare non solo sorprese gradevoli al palato ma difficili da digerire dal vostro conto in banca.

Attenti agli antipasti

Si parte con il classico affettato, bocconcini, ricottina, formaggio stagionato, si passa alle zuppe di stagione, a base di ceci, fagioli, castagne, poi arrivano i contorni, peperoni, melanzane, funghi e ovviamente la specialità dello chef.

Un altro paio di piatti, magari di mare e l’antipasto è servito. Ed ecco volare 40 minuti solo per sgranchire le ganasce. Ovviamente, di solito, un tal susseguirsi di cibo, con la fame agli occhi, non viene mai rifiutato.

Si arriva a snocciolare l’ultima oliva con lo stomaco pieno a tre quarti e ci assale il pensiero che prima dell’antipasto avevamo già ordinato gli assaggini di primo, il secondo ed il contorno, quando in realtà potremmo alzarci da tavola, pagare ringraziare e tornare a casa rotolanti come coccodrilli dopo aver trangugiato la preda.

Ed invece no, ormai è fatta.

Allentate la cintura o il corpetto ma preparatevi ad allentare anche i cordoni della borsa per il conto. Un antipasto del genere se ben fatto costa dai 15 ai 20 euro a persona.

Piatti esotici e cibi stranieri

Occhio al prezzo

Kobe, Jamon Serrano, Patata Bonnotte, Caviale Almas Beluga, se vi imbattete in questi menù degustazione fate molta attenzione.

Nel caso in cui avete la fortuna di trovare un cubettino di kobe, o una fetta di Jamon Serrano nel vostri piatto gourmet, non vi lamentate del fatto che è poco.

Chiedere l’extra di Jamon Serrano potrebbe costarvi anche 40 euro in più sul conto, per sole tre, quattro fettine di prosciutto iberico.

Peggio ancora se chiedete una fetta di Kobe, probabilmente dovrete impegnare l’intera vostra tredicesima. In alcuni casi chi si accontenta gode e paga meno.

I centrotavola

Specchietto per le allodole

Una frittura a centrotavola, un antipasto misto in vassoio, assaggini. Uno per tutti, funzionava per i tra moschettieri.

A tavola è di solito un tranello, si paga di più e si mangia di meno rispetto alla porzione ad personam.

Se sono un ristoratore e siete 4 in tavola, porto un vassoio centro tavola, unisco tre porzioni e ne faccio pagare 4. Elementare Watson, ed il conto si impenna. Eppure è uno degli errori ricorrenti.

Si dice che la fame aguzza l’ingegno, ordinate una sola portata e fatevi portare un piatto vuoto per dividerla con un commensale.

Magari non rispettate l’etichetta, ma la carta di credito si.

Pasta e fagioli dello chef

Quando vi propongono la pasta e fagioli dello chef (che di solito prevede aggiunta di cozze o cotiche, due ingredienti low cost) drizzate le antenne. E’ un espediente per far lievitare il prezzo di uno dei piatti per antonomasia della cucina povera, che diventa “inspiegabilmente ricco” tanto lo pagate voi.

Tra l’altro, o siete al NOMA di Copenhagen, e dunque disposti a pagare anche il blasone, oppure non fatevi abbindolare.

Un chilo di fagioli costa da 1 euro a 3 euro, un chilo di pasta da 1 euro a 6/7 euro se fresca e fatta artigianalmente. Con due chili di ingredienti si realizzano circa 10 (abbondanti) porzioni di pasta e fagioli. A 6 euro a porzione il guadagno sarebbe già del 300%.

Stesso discorso vale per decine di portate classiche della cucina italiana.

Se siete alla ricerca dei vecchi sapori di una volta, attenetevi al disciplinare. Una pasta e fagioli classica abbondante è ben pagata già a 6 euro ma diciamo anche 8/10 euro, oltre questa cifra state pagando altro.

Se non sai cosa bere, scegli l’acqua

Rosso, bianco, fermo, bollicine, rosato, millesimato, invecchiato. I vini sono tanti, milioni di milioni, ma sapere cosa si vuole bere e conoscerne i prezzi vi mette al riparo da brutte sorprese.

“Da bere che vi porto?”.

E’ la domanda classica dei camerieri che arriva solitamente subito dopo aver preso la comanda del menù!

La risposta più sbagliata che ci può essere è: “Fate voi, basta che sia rosso”.

Non vi lamentate se a tavola arriva un Petrus di Pomerol (ammesso che il ristorante da voi scelto ne abbia mai vista passare una bottiglia nelle sue cantine).

Meglio richiedere la carta dei vini, valutarne i prezzi, anche perchè, la sorpresa non è solo in termini assoluti di prezzo, ma anche in termini di rapporto qualità/prezzo.

Potreste dover pagare una bottiglia diverse decine di euro, e scoprire, il giorno dopo, la stessa bottiglia tra gli scaffali del vostro supermercato a prezzi decisamente più contenuti ed abbordabili.

Solitamente la bibenda incide sul conto al ristorante per almeno il 25% ma con amici un po’ ‘mbriaconi il conto del vino può anche superare quello del cibo.

Se non avete le idee chiare su cosa volete nel bicchiere, scegliete l’acqua, ma attenzione la Supernariwa giapponese arriva anche a 9 mila euro al litro.

Dulcis in fundo, sed conto salato

Giunti alla fine del pranzo o della cena, un dolce non si rifiuta mai, ed anche il cordiale di chiusura, tra amari, grappe, distillati, vernacce e passiti.

Ormai prolifera l’artigianale, che di artigianale ha solo il prezzo e cioè fatto alla Carlona. Ancora peggio il carrello dei dolci e dei liquori.

Messi di fronte ad ogni tipo di libagione glicemica, molti vengono attratti dall’idea degli “assaggini”. Un pezzo di crostata, un babà, una fetta di sbriciolona, per poi passare alle verticali di grappe.

Dopo i picchi glicemici di fine pasto, troverete anche molto sodio nello scontrino. Ormai i dolci più banali partono dai 5 euro a porzione e lo stesso dicasi per amari, distillati, grappe, passiti e vernacce.

Quando poi l’amico al tavolo ama il rum, tipo un Ron de Guatemala DOP XO Solera Gran Reserva Especial Zacapa, ed il cioccolato …zac il conto è aumentato di almeno 15 euro.

Quanto ci mancano le vecchie osterie

Non ce ne vogliano Cannavacciuolo, Barbieri, Gordon Ramsay e Cracco.

A noi mancano tanto le vecchie osterie, quelle da 8 portate, 4 per i primi e 4 per i secondi, una sola tipologia di dolce, magari la crostata della nonna fatta davvero dalla nonna del cuoco (se è domenica magari anche il babà), vino della casa e per chi vuole proprio “strafare” antipasto classico, con una fetta di prosciutto, una di salame, acetelli, olive e bocconcini e l’ormai introvabile bruschetta con le acciughe sott’olio.

Ma se il cuoco diventa chef, anche nei peggiori ristoranti di Caracas, il cameriere diventa maitre, e l’oste diventa sommelier, è inevitabile che nel conto finirete per pagare non tanto ciò che avete vi viene servito ma soprattutto l’evoluzione linguistica.

Ah dimenticavamo, non mettete subito mano al portafoglio a fine pranzo o cena, controllate sempre il conto perchè fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.

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