Ezio Bosso al Festival di Sanremo ha dato voce ad un mondo di cui troppo spesso ci si dimentica ma di cui non capiamo profondamente la sofferenza e la barriera fisica che diventa prigione e confine.
“la compassione è la più importante e forse l’unica legge di vita dell’umanità intera”
La compassione (dal latino cum patior – soffro con – e dal greco συμπἀθεια , sym patheia – “simpatia”, provare emozioni con..) è un sentimento per il quale un individuo percepisce emozionalmente la sofferenza altrui provandone pena e desiderando alleviarla. La definizione ci puo’, forse introdurre nell’argomento che questa volta ha colpito la mia attenzione e che prende spunto dall’esibizione di Ezio Bosso al Festival della Canzone Italiana, che a quanto pare tutti disprezzano ma tutti guardano con una sorta di interesse macabro, come quando si va in gita fuori porta nei luoghi caratterizzati da delitti efferati.
E quindi mi stupisce leggere ed ascoltare i commenti che riguardano il maestro Ezio Bosso a Sanremo e che arrivano veloci, durante la sua presenza sul palco dell’Ariston.
Faccio fatica a capire, confesso questo strano sentimento che anima tutti noi e che vorrei tanto fosse una sorta di empatia profonda, che spinge l’uomo a “ sentire” il dolore dell’uomo che patisce una sofferenza fisica e psicologica, un uomo che sfida la propria malattia, o che meglio convive con essa come compagna, ma che non ha vergogna di mostrarla al mondo forte di un talento fortissimo, che tutto trasforma e trasfigura in una immensa opera d’arte.
Si l’arte amici miei!
Bernard Shaw diceva che si usano gli specchi per guardarsi il viso, e si usa l’arte per guardarsi l’anima, ed è l’arte che rende eterno un piccolo sentimento e lo trasforma in qualcosa di comprensibile al mondo, lo rende capace di valicare le epoche, i limiti ed i confini di qualsiasi natura.
Lo spazio ed il tempo si annullano, e pochi secondi di esecuzione, di mani sui tasti bianchi e neri, o sulle corde di un violino, o un piccolo passo di danza con cui ci si sospende nell’aria.
La forma non conta ed in fondo neanche la tecnica, tutto è sospeso quando l’arte fa la sua comparsa, questo avrebbe dovuto colpire chi ha guardato l’esibizione del magico Pianista, che con il sorriso stampato sulle labbra, ha dimostrato come ci si può annullare nella musica e come il limite fisico altro non è che un limite che scorge solo la mente chiusa ed ottusa.
Eppure tutto questo non è passato, nessuno ha parlato di questo, ma della malattia, del corpo che è quello di un burattino con scatti veloci.
Tutti si sono interrogati sul male, su cosa sia normale per un disabile, su cosa possa fare, non fare, sognare, pensare, dire, comunicare, se sia possibile la satira su un ammalato, se non sia fuori luogo, o se invece serva a normalizzare.
Ed io confesso mi sono fatta travolgere per un attimo dallo scoramento, poi mi sono raccolta nei miei pensieri ed ho pensato invece a quale aspetto positivo si potesse ricavare dall’accaduto, ed eureka, come per magia ho trovato qualcosa che in fondo potesse lasciare un seme.
Questa occasione non va sprecata e, questi palcoscenici vanno battuti sempre più frequentemente da chi lotta contro avversità umane, fisiche, e soprattutto sociali.
Ezio Bosso ha consentito di dare voce ad un mondo di cui troppo spesso ci si dimentica, a cui riserviamo qualche piccola pacca e lacrima di circostanza, ma di cui non capiamo profondamente la sofferenza e la barriera fisica che diventa prigione e confine.
Lo stesso confine denunciato da Frassica nel brano finale, quel confine da cui fuggono uomini, donne e bambini disperati e che spesso privi di vita non sono che corpi persi tra le onde di un mare che non è che sale sulle ferite.
E bruciano allora gli occhi e trattieni le lacrime, ed ingoi il tuo scoramento, ma pensi che in fondo qualunque sia il mezzo, il mondo è pronto per una rivoluzione culturale che vada oltre le bandiere e che attraverso l’arte possa finalmente affacciarsi ed appropriarsi dei colori dell’arcobaleno.
D’altra parte se il mondo fosse chiaro, l’arte non avrebbe ragione d’esistere. Camus