Sperimentazione ed esperienza, coinvolgimento ed empatia, tradizione e perseveranza.
Preparare una buona pizza richiede specifiche dosi di… doti e partecipazione. Anche emotiva.
Quelle di cui è ricco Filippo Testone, pizzaiolo partenopeo che dopo aver stuzzicato i palati di mezza regione Campania, dal 2006 soddisfa, con successo, quello degli avellinesi.
Che hanno imparato ad apprezzare le sue creazioni al “Vicolo dei Matti”, nel centro storico di Avellino, e che oggi si gustano le pizze che quotidianamente sforna al “Bar Otto”, a Torrette di Mercogliano, alle spalle del distributore di carburante Q8.
Quando hai cominciato e dove hai imparato a fare la pizza?
“Avevo dieci anni quando ho cominciato a sporcarmi le mani con la farina. A Napoli, nel quartiere Fuorigrotta, quello in cui viveva mia nonna. Ho fatto il garzone, l’addetto alle consegne, il lavapiatti prima di passare dietro il banco delle pizze. La gavetta è fondamentale, in qualsiasi mestiere. Oggi sempre più spesso si pensa di nascere maestri. E poi non si sa lavare nemmeno un piatto!”.
Le prime pizze quando hai cominciato ad infornarle?
“Nel 1995 ho cominciato a cuocere le prime pizze, l’anno successivo ho imparato a fare l’impasto. Solo dopo ho iniziato la mia avventura vera e propria, sempre a Napoli, nella pizzeria “Anima e Cozze” a via Partenope”.
E ad Avellino quando sei approdato?
“Il primo approccio con la città di Avellino c’è stato nel 2006, con Fratelli La Bufala. Ho girato un po’, dalla pizzeria di Avellino a quella di Atripalda, da Montesarchio al Centro Commerciale Campania, prima di tornare ad Avellino ed iniziare la mia avventura con il Vicolo dei Matti, che è durata nove anni. Ora, dopo altre esperienze, sono al Bar Otto, a Torrette di Mercogliano”.
Le tue pizze sono sempre state particolarmente gettonate. Qual è il segreto per una pizza perfetta?
“Naturalmente molto dipende dai gusti. Io uso una farina doppia con un indice W, che indica la forza della farina, di 260. Tra maturazione e lievitazione dell’impasto faccio trascorrere 24 ore, per poi ottenere panetti da 280 grammi. La cottura, poi, nel forno a legna avviene ad una temperatura che oscilla tra i 380 ed i 420 gradi”.
Impasto, cottura, ingredienti: qual è l’ordine di importanza per gustare una buona pizza?
“Per me la cottura è fondamentale. Puoi utilizzare il miglior pomodoro o la migliore mozzarella, ma poi se servi una pizza cruda o bruciata hai perso tutto. A seguire, l’impasto ben lievitato, che è di primaria importanza, poi la qualità degli ingredienti”.
Qual è il tuo parere rispetto al cosiddetto cornicione a canotto, che tanto fa discutere?
“Il canotto è una variante alla pizza napoletana, come dice Salvatore Lioniello, uno dei pizzaioli emergenti napoletani, è una pizza diversamente napoletana. Ho clienti che me la chiedono e non ho difficoltà a servirla, ma per me la vera pizza ha un diametro di 32 centimetri con un cornicione tra 1,8 e 2 cm, che sia ben stesa e ben condita”.
Insomma, canotto bocciato?
“Non dico questo, ma da buon napoletano credo che la pizza tradizionale non passerà mai di moda, mentre sono sicuro che i canotti andranno a morire. Da pizzaiolo, poi, posso dire con certezza che, in termini di qualità, una cosa è fare in una serata una pizza a canotto, altro servirne 400: diventa quasi impossibile mantenerne inalterata la qualità e, dovendo lavorare con i grandi numeri, corri il rischio che rimanga cruda o venga molto sottile”.
Qual è, alla luce della tua esperienza, la pizza preferita dagli avellinesi?
“Su tutte la Margherita e la Diavola. Devo dire che, negli anni, ho proposto molte varianti che sono sempre state apprezzate, dalla pizza con il datterino giallo, con la quale sono giunto al sesto posto ai campionati mondiali, a quella con vellutata di datterino giallo, provola di Agerola, con pepe, olio e scaglie di caciocavallo all’uscita”.
La tua ultima creazione?
“Ora sto lanciando la pizza con il pomodorino nero, mozzarella di bufala e olio a crudo”.