“Analisi approfondita del ruolo dei notai come baluardi dei diritti delle parti più deboli” a cura del Notaio Fabrizio Pesiri.
Sento ripetere spesso che il notaio rappresenta un freno per lo sviluppo del sistema ed un costo intollerabile per un’economia in crisi, che le sue attribuzioni possono essere svolte con pari efficacia da altri professionisti, portando quale esempio i sistemi di common law nei quali le funzioni notarili sono esercitate dagli avvocati o da funzionari. Chi sostiene questo, però, dimentica di considerare una serie di importanti differenze, figlie di una diversa impostazione di sistema.
Le attività notarili svolte dagli avvocati di common law si limitano ad una mera certificazione ed autentica delle sottoscrizioni delle parti, i “notai pubblici” (come vengono chiamati) non “formano” il contratto (e se lo fanno non ne assumono ufficialmente la paternità); nei Paesi di civil law, al contrario, lo Stato affida al notaio una funzione di natura pubblica, quella cioè di accertare con rigore la identità e la capacità delle parti, di indagarne personalmente la volontà nel rispetto più assoluto dei criteri di terzietà e di indipendenza, di tradurla in termini giuridici rendendola conforme ai principi dell’ordinamento giuridico e permettendo così a quella volontà di produrre effetti giuridici quanto più aderenti agli scopi perseguiti: il contratto nasce con il fondamentale contributo del notaio, che ne assicura la validità, la liceità e l’efficacia.
Si usa dire che il notaio di civil law “garantisce” un risultato: non soltanto assicura che quanto convenuto tra le parti è conforme al diritto, e quindi realizzabile secondo l’ordinamento giuridico, ma anche che l’oggetto di cui esse desiderano disporre è legittimamente negoziabile e che il loro scopo può essere raggiunto in modo certo e definitivo.
Del mancato conseguimento del risultato promesso il notaio italiano risponde, sia professionalmente (anche mediante la sospensione temporanea dalle funzioni, nei casi più gravi), sia civilisticamente per i danni arrecati.
In America il sistema dei controlli “preventivi” non è così rigido, la tutela viene traslata al momento patologico e la partita si gioca sul piano dei risarcimenti per equivalente: chi perde la casa per i più svariati motivi (perché per esempio è abusiva, perché chi ha venduto non era veramente proprietario, perché gravata da una precedente ipoteca e viene venduta all’asta, e cosi via) viene risarcito dalle Assicurazioni, quindi ottiene una somma di danaro, con la quale potrà certamente acquistare un’altra abitazione, ma non “quella” casa, la sua casa, che ha irrimediabilmente perduto.
Il notaio in Italia è artefice del contratto in tutte le sue fasi, dalla nascita fino a quando non viene immesso sul sistema giuridico attraverso l’inserimento nei Pubblici Registri, nei quali solo lui può avere accesso. Finalmente, dopo l’ultima fase della pubblicità (oramai di natura telematica), tutti potranno sapere che un certo appartamento da oggi è di Tizio e non più di Caio, ovvero che è nata una nuova società o che quella società ha cambiato denominazione o sede, e quel risultato possiede un valore aggiunto, giacché ciò che è documentato –proprio perché generato da un pubblico ufficiale– è dotato di pubblica fede e non può essere contestato.
Tanto più notaio, tanto meno giudice: Francesco Carnelutti usava queste parole negli anni ’50 per spiegare che quanto più il notaio è reso partecipe del processo di genesi del regolamento contrattuale, tanto meno sarà necessario rivolgersi all’Autorità giudiziaria per esercitare serenamente i propri diritti, per veder eseguiti gli obblighi, per conseguire più in generale gli obiettivi sperati.
Si pensi che in Italia, nell’ambito delle transazioni immobiliari gestite dal notaio, il contenzioso riguarda soltanto circa 50 casi all’anno su oltre 1.700.000, corrispondenti a circa lo 0,003%, con un palese ed incontestabile vantaggio anche in termini di costi sociali.
La dimostrazione che un sistema come il nostro –basato su rigidi controlli preventivi– è apprezzabile è dimostrato dal fatto che la Cina nel 2006 ha deciso di adottare il sistema del notariato latino (civil law) e dal 2010 manda delegazioni in Italia per studiarne il modello, e che gli Stati Uniti, dopo i noti accadimenti delle frodi ipotecarie e della falsificazione dei certificati di proprietà immobiliare, sta studiando il modo di utilizzare un sistema di garanzie delle transazioni plasmato su quello italiano.
Questa premessa di taglio generale sulle funzioni notarili apre la strada a quello che è il vero tema di questa conversazione, è cioè quello del ruolo del notaio nel sistema della tutela delle persone fragili.
Accennavo prima al fatto che il regolamento contrattuale che il notaio contribuisce attivamente a creare debba possedere il crisma della legalità (essere cioè rispettoso delle norme positive), ma ho dimenticato di aggiungere che esso deve anche essere lecito e meritevole di tutela, nel senso che deve rispettare i principi generali di rango costituzionale, quali quelli di solidarietà e di eguaglianza sostanziale, e deve essere equilibrato, equo, bilanciato, giusto, deve perseguire fini socialmente utili.
Se questo è vero in generale, è ancor più urgente in taluni contesti caratterizzati da “vulnerabilità” di una delle parti.
Si pensi alla delicatissima situazione di incapacità (anche temporanea) di intendere e volere (ad esempio provocata da alcool, droga, da dipendenza patologica, da amnesia momentanea, da semplice malore, da ischemia, ecc.), intesa non come conclamata causa di infermità fisica o psichica, ma come conseguenza di un turbamento o alterazione tale per cui le facoltà intellettive e volitive risultino diminuite in modo tale da impedire o anche solo ostacolare una seria valutazione dell’atto e la formazione di una volontà cosciente, facendo venire meno la capacità di piena autodeterminazione del soggetto e la completa consapevolezza in ordine all’atto che sta per compiere.
Si pensi ancora alla situazione di debolezza ingenerata da uno stato di bisogno o di pericolo di una delle parti (eventualmente accompagnata da minaccia o violenza morale), ovvero alla situazione ancora più sottile di “soggezione” determinata dalla “forza” economica o solo persuasiva (metus reverentialis) dell’altra parte, ed ancora all’ampia tematica della tutela del consumatore, delle clausole vessatorie ed abusive nei contratti con le imprese: il codice del consumo (D.Lgs. 205/2006) definisce vessatore quelle clausole del contratto che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio di diritti e di obblighi.
Nelle elencate situazioni di evidente asimmetria, il notaio avverte ancora più forte il dovere di intervenire a garanzia di un contratto pienamente condiviso ed “informato”, equo, equilibrato nel bilanciamento dei diritti e degli obblighi. Se non fosse tutelata nella fase preliminare, la parte debole avrebbe, quale unica alternativa al soccombere e cedere, quella di rivolgersi al giudice per invocare i rimedi pur astrattamente previsti dal codice civile (a seconda dei casi e della gravità, nullità, annullamento o rescissione del contratto, nullità parziale di talune clausole), ma ottenendo giustizia a conclusione di un lungo e costoso contenzioso, peraltro per definizione incerto negli esiti.
Sarà quindi compito del notaio, nel caso concreto, valutata anche la condizione dei soggetti che intervengono, provvedere a colmare le situazioni di “vulnerabilità”, spiegare con puntualità il significato delle clausole e degli effetti, informare in ordine alle conseguenze della assunzione di determinati impegni, tentare di riequilibrare le posizioni dove sia evidente un’ingiustificata sproporzione (non solo economica) tra le prestazioni, magari frutto di divario di forza persuasiva (si pensi alla situazione di tanti anziani e di tante donne), prevenire pericoli latenti di potenziale approfittamento o di circonvenzione.
Lo stesso dicasi per le persone affette da handicaps fisici (cecità, mutismo, sordomutismo), verso le quali –servendosi ora di interpreti, ora di assistenti– il notaio ha l’obbligo di essere particolarmente attento a garantire che la persona non soltanto sia in grado di percepire e di intendere, ma che abbia effettivamente compreso la natura della operazione posta in essere ed il senso delle clausole contrattuali.
E tutto questo il notaio lo fa perché esercita una funzione pubblica caratterizzata da terzieta, imparzialità, lealtà verso (tutte ed indistintamente) le parti e verso l’ordinamento, perché è delegato dallo Stato a valutare preventivamente la validità, la liceità, la meritevolezza di tutela degli scopi delle parti, perché ha il dovere giuridico di rifiutare la sua prestazione professionale se ha il sospetto che dal suo intervento possa generare un contratto invalido o peggio illecito, garantendo, al pari del giudice, l’interesse pubblico alla sicurezza del mercato e alla affidabilità dei Registri pubblici.
Gli economisti incaricati dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale, tra cui Hernando De Soto, ritengono che la causa della povertà delle economie in sviluppo o in transizione (Africa, Oriente, Europa dell’Est) risieda non nella mancanza di risorse “fondiarie”, bensì nella mancanza o inaffidabilità di Registri pubblici la cui attendibilità sia in qualche modo garantita dallo Stato.
Alla luce di queste brevi considerazioni, possiamo ancora ragionevolmente ritenere che sia ridondante la figura di un professionista delegato al rispetto delle regole in una società oramai avviata da tempo sulla improvvida strada del “tutto è permesso”? Abolito il notaio, chi farebbe il lavoro che ho prima tentato di spiegare? L’avvocato o il commercialista? E’ possibile, certo, ma nella pratica ognuno dei contraenti coinvolgerebbe il suo professionista di fiducia, e nel complesso l’operazione senza dubbio non risulterebbe economicamente meno gravosa.
Domandiamoci piuttosto a chi può far comodo l’eliminazione della figura del notaio: al normale cittadino o alla persona fragile che dal notaio è tutelata e garantita? O forse piuttosto ai grandi gruppi bancari che potrebbero finalmente senza più ostacoli impossessarsi della filiera immobiliare ed imporre contratti di finanziamento con la formula “prendere o lasciare”? O ancora alle grandi società che potrebbero con disinvoltura perfezionare operazioni straordinarie o finanziarie con magheggi oggi non permessi grazie al controllo preventivo del notaio?
A fianco a quella che potremmo definire la tutela della persona debole nel caso concreto, esiste poi un’ampia area di consulenza che vede il notaio protagonista nella programmazione del tempo “dopo di noi“.
Purtroppo è largamente aumentato il numero delle famiglie che hanno il gravissimo problema di pianificare la tutela da apprestare al congiunto “fragile” nel caso in cui il componente sano venga meno e non vi sia nessuno della famiglia nucleare che possa occuparsi di lui.
Non si tratta solo di garantire sicurezza finanziaria o materiale, quanto piuttosto preordinare un regolamento giuridicamente vincolante che assicuri alla persona fragile attenzioni e cure per l’intera durata della sua vita.
Il caso riguarda non soltanto i soggetti interdetti, inabilitati, o beneficiari dell’amministrazione di sostegno, ma coinvolge tutte quelle persone che per i più vari motivi –anche non conclamati e spesso volutamente celati– non siano (o non siano più) in grado di attendere ai propri interessi o gestire la propria vita quotidiana e necessitino di qualcuno che guidi i loro passi o che addirittura li assista con continuità.
Spesso è assente, soprattutto al Sud, un’efficace rete pubblica di protezione sociale, che riesca a fare formazione ed informazione, anche in ordine ai percorsi e agli istituti giuridici posti a protezione del soggetto debole, e che nel contempo aiuti le famiglie ad immaginare un’ordinata programmazione del futuro per i loro cari diversamente abili.
In questi frangenti, il notaio può essere di valido aiuto, in prima battuta nell’attività di consulenza, subito dopo nella scelta dello strumento giuridico più idoneo, nel caso concreto, a garantire al soggetto fragile protezione, mantenimento ed eventuali cure mediche.
Una situazione ricorrente è quella dei genitori con due o più figli, uno dei quali disabile, angosciati della sorte del figlio fragile per quando non saranno più in vita o idonei ad assisterlo, ma nello stesso tempo preoccupati, da un lato, dalla reazione del figlio sano al materializzarsi della idea di doversi occupare del fratello, dall’altro lato, dal timore di condizionare o limitare la vita “ordinaria” della famiglia del figlio sano.
Molto spesso il figlio fragile non è destinatario di misure di protezione (interdizione, inabilitazione, amministrazione di sostegno), né i genitori desiderano “formalizzare” la debolezza del figlio, il più delle volte per retaggi culturali.
Il codice civile del 1942 prima, il legislatore ordinario poi, hanno approntato una serie di strumenti per riuscire a fornire una risposta, da cucire poi sartorialmente –mai come in questi casi– sul caso concreto.
Le tre scelte di fondo che una famiglia deve affrontare sono le seguenti: a) decidere se ricorrere ad uno strumento di protezione giudiziale (interdizione, inabilitazione, amministrazione di sostegno) a garanzia del futuro del figlio, affidando la sua tutela all’ordinamento, al Giudice Tutelare e al titolare dell’Ufficio assistenziale (tutore, curatore, amministratore di sostegno); b) decidere se il meccanismo di “assistenza” debba attivarsi già in vita dei genitori o se debba avere efficacia dopo la loro morte; c) valutare se affidare l’assistenza (almeno preferibilmente) ai membri della famiglia di origine ovvero delegarla ad un soggetto o Ente esterno alla famiglia.
Ulteriore decisione importante, rispetto alla quale il dato diventa più tecnico, è quella di comprendere se il genitore preferisca “patrimonializzare” il figlio fragile, attribuendogli la proprietà di taluni beni (eventualmente da vendere in caso di necessità), ovvero se prediliga di lasciargli unicamente il diritto di usufrutto su uno o più beni (anche se del caso per ricavarne una rendita) ovvero ancora una somma di danaro sufficiente a garantirgli una valida assistenza ed una vita dignitosa.
Nel caso in cui il genitore desideri decidere unilateralmente e procrastinare l’efficacia delle decisioni al suo decesso, utilizzerà preferibilmente il testamento; diversamente, potrà già individuare la persona di fiducia cui “affidare” il figlio ed utilizzare il contratto, da perfezionare in vita, lasciando la sua esecuzione al tempo successivo alla sua morte.
Il legislatore del 1942 ha previsto, unicamente per l’interdetto, la sostituzione fedecommissaria (art. 692 c.c.), con la quale i genitori o il coniuge dell’interdetto istituiscono rispettivamente il figlio o il coniuge con l’obbligo di conservare e restituire alla sua morte i beni a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell’interdetto medesimo.
Gli altri istituti utilizzabili (sia attraverso il testamento, sia attraverso il contratto) prescindono invece dall’avvenuta formalizzazione giudiziaria della debolezza (tutela, curatela, amministrazione di sostegno), e presentano notevoli profili di elasticità e di adattamento alla fattispecie concreta: penso al contratto di mantenimento (eventualmente a favore del terzo fragile, ai sensi dell’art. 1411 c.c.) ed a quelli elencati nella legge 122/2016 (cd. “dopo di noi“), quindi al trust, al vincolo di destinazione ai sensi dell’art. 2645 ter c.c. e al contratto di affidamento fiduciario. L’utilizzazione di questi strumenti permette di predisporre un regolamento giuridico dotato di un considerevole grado di duttilità e versatilità, grazie al quale il quale i beni sono affidati ad un fiduciario-trustee per essere amministrati e gestiti al solo scopo di garantire al soggetto fragile –posto nella posizione di beneficiario– la copertura economica per una assistenza continua ed ininterrotta.
Un ultimo accenno va fatto alla recente riforma “Cartabia” (D.Lgs. 149/2022), entrata in vigore il 28 febbraio 2023, che contempla nuove competenze per i notai in materia di volontaria giurisdizione. La riforma, allo scopo di snellire il carico giudiziario, consente alle parti di scegliere se rivolgersi all’Autorità giudiziaria o al notaio incaricato della stipula dell’atto per ottenere il rilascio delle autorizzazioni richieste per la stipula di atti nei quali intervenga un minore, un interdetto, un inabilitato o un soggetto beneficiario della misura dell’amministrazione di sostegno, ovvero che abbiano ad oggetto beni ereditari. La nuova normativa ha creato un “doppio binario” in quanto le autorizzazioni, che prima potevano essere richieste solo all’Autorità giudiziaria ora, a scelta delle parti, possono essere richieste anche al notaio incaricato di ricevere l’atto.
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