Uno sguardo a trecentosessanta gradi sul panorama vitivinicolo irpino, con l’occhio attento di chi, sulla scorta di una lunga esperienza nel settore marketing e comunicazione, non si accontenta di ciò che osserva ma prova ad approfondire.
Mario Marciano, contitolare dell’agenzia Grafistudio Associati, fa una lettura critica del fenomeno vino in Irpinia.
E lo fa partendo dall’analisi dei numeri che, come sottolinea, “non tradiscono mai”.
“La comunicazione ha il potere di affabulare e convincere, ma nella realtà quali sono i numeri di questo successo? Oltre la copertina non sarebbe il caso di conoscere anche i contenuti di questa nostra favola per giustificare tutto l’orgoglio e lo spirito di appartenenza che viene spesso stimolato in occasioni vetrina, come è successo anche per l’Expo”?
Quindi secondo lei è tutto un bluff?
“Sgombero subito il campo, non sono un detrattore, credo fortemente nella vocazione vitivinicola della nostra terra, così come sono convinto che produciamo vini di grande pregio grazie anche all’impegno di famiglie che hanno conferito lustro a questa storia. Dubito però che la strada intrapresa per la promozione sia quella giusta.
Incuriosito dall’enfasi post Vinitaly, mi sono messo alla ricerca di statistiche produttive, dati di mercato e di consumo, risultati economici per capirci qualcosa, ogni cosa che potesse giustificare un’azione e un investimento anche prospettico”.
E cosa ha scoperto leggendo i numeri?
“L’ISTAT ogni anno fa un resoconto dei dati di produzione e trimestralmente una statistica sulle esportazioni di vino italiano per regione. Nel 2015, ad esempio le medesime sono cresciute del 5% e il maggior apporto per l’Italia è stato dato da due delle tre regioni più importanti per il vino italiano, il Veneto e la Toscana con rispettivamente un +10% e un +19%.
Il volume complessivo dell’export italiano è stato di 5.4 miliardi di euro. Fa notizia sapere che il 70% di questo export è fatto da tre regioni Veneto, Toscana e Piemonte, alle quali se aggiungiamo Trentino, Alto Adige, Emilia Romagna e Lombardia arriviamo a circa il 90%.
La Campania ha una quota risibile sul dato nazionale, solo 43 milioni di euro che vanno ripartiti per le rispettive quote provinciali (i dati per singola provincia mancano) ma possono essere di aiuto le rispettive quote di produzione”.
E quali sono i numeri relativi all’Irpinia?
“L’Italia ha prodotto nel 2015 48,2 milioni di ettolitri + 15% rispetto all’anno precedente, la Francia ne ha prodotti 47,8 – la Spagna 36,6. Il sud Italia incide per il 9% sull’intera produzione nazionale. La Campania assorbe una minima fetta di questa percentuale con i suoi 1,166 mil. ettolitri (dato ISTAT 2014), la provincia di Benevento con 581.000 ettolitri copre il 49% della produzione regionale, quella di Salerno con 194.000 ettolitri il 17%, Avellino con 180.000 ettolitri solo il 15%, seguono Napoli con 129.000 ettolitri pari all’11% e Caserta con 98.000 ettolitri con l’8%.
Da questi numeri si evincono subito alcune cose: non siamo i primi produttori della regione, come erroneamente qualcuno poteva pensare; non siamo significativamente presenti sul mercato, è una logica conseguenza. Qualcuno obietterà che facciamo vini di nicchia, di alta qualità. Certo questo è vero, però nella classifica della produzione Doc e Docg (dati ISTAT 2013) non veniamo neanche rilevati come tipologia di vini, perché il dato non è significativo.
Della nostra regione troviamo solo la Falanghina del Sannio Doc e il Sannio Doc.
L’Irpinia è una parte infinitesimale nel panorama produttivo italiano con una quota di mercato dello zero virgola”.
La presenza sul territorio di circa 230 produttori, secondo lei rappresenta un punto di forza o di debolezza?
“I numeri dicono che in Irpinia abbiamo tre o quattro aziende che producono più di un milione di bottiglie, altre tre o quattro che vanno da 100 a 500 mila bottiglie e il resto delle circa 200 cantine ne producono da 5.000 a 100.000.
La produzione minima è più o meno la quota di consumo di un grande ristorante, la domanda è: per stare sul mercato a quanto deve vendere una’azienda le sue 5.000 bottiglie?
L’attuale polverizzazione di micro cantine familiari non ci porta da nessuna parte.
Ogni cantina ha delle macchine per produrre che usa una settimana all’anno. Chi ha la responsabilità di incidere sui processi di sviluppo, lo faccia magari con un poco di scenografia in meno e con la regia del Consorzio di tutela dei vini irpini. Rendere sostenibili i nostri vini da un punto di vista commerciale, significa creare condizioni di vera economia diffusa sul territorio e non illusioni. Questa economia potrebbe contribuire significativamente a bloccare lo spopolamento in atto dei piccoli paesi della nostra provincia. A mio avviso il nostro modello di sviluppo va rivisto”.