Ai margini del centro storico di Avellino, tra il Teatro “Carlo Gesualdo” ed il Conservatorio “Domenico Cimarosa” una piccola lingua d’asfalto, percorsa soprattutto per raggiungere uno dei due principali luoghi di cultura della città, è dedicata alla memoria di un giovane chitarrista avellinese, brutalmente assassinato ad appena 24 anni proprio mentre si accingeva a spiccare il volo verso una folgorante carriera musicale.
Luigi Fricchione era nato ad Avellino l’8 giugno 1965. Sin da bambino aveva manifestato una grande vivacità intellettuale ed una passione per la musica che, quasi naturalmente, lo portò a frequentare il Conservatorio “Cimarosa”.
La chitarra era quasi un appendice delle braccia di Luigi, che dedicava allo studio ore ed ore, ripetendo movimenti e accordi fino al raggiungimento di quella perfezione che gli procurava una soddisfazione che solo chi ha la musica nel sangue può comprendere.
Come la maggior parte dei ragazzi degli anni ’80, Luigi seguiva la musica pop di quegli anni, ma la sua attenzione era rivolta soprattutto alle evoluzione dei grandi chitarristi jazz e rock, da Bob Dylan, a Pat Metheny fino a Joe Pass.
Li ascoltava e riascoltava fino a riprodurne, in maniera fedele, ogni sfumatura.
Erano gli anni del boom delle radio locali.
Luigi divenne, insieme all’amico Marco Saccone, tra gli animatori di Studio 95, un’emittente radiofonica locale, per la quale ideò una delle prime trasmissioni, “Diapason”, interamente dedicate alla musica classica.
Nel frattempo si diplomò al Conservatorio e cominciò a viaggiare per perfezionare i suoi studi e per esibirsi da solista in giro per l’Italia e per l’Europa.
La storia di Luigi Fricchione è quella di una passione che diventa una professione, quella di chi, con una grande forza di volontà, decide di inseguire un sogno fino a raggiungerlo.
Ma a volte, tra il sogno e la realtà, ci si mette di mezzo un destino che ha riservato un disegno diverso rispetto a quello che ci si era immaginati.
E la carriera ed i sogni di Luigi Fricchione furono strappati in una sera di settembre del 1989 da una mano rimasta ignota, per quella che è una delle pagine più drammatiche della cronaca nera della provincia di Avellino.
Come un qualsiasi ragazzo di 24 anni, quella sera Luigi aveva deciso di fare una passeggiata con la sua fidanzata. Un giro in auto, ascoltando musica e programmando il futuro.
Aveva scelto i tornanti del Terminio per far scorrere le note della colonna sonora in una di quelle serate in cui l’estate è un vicino ricordo e le temperature ti ricordano quanto rigidi possano essere anche gli imminenti mesi autunnali in Irpinia.
Una sosta, l’ultima.
La coppia fu aggredita da persone cui non è mai stato dato un nome.
Un colpo d’arma da fuoco fu l’ultimo suono che riecheggiò nelle orecchie di Luigi Fricchione, un talento avellinese.