Lavoro e pensione sono ormai le “croci” di tutti gli italiani. Prima occorre fare i conti con un mondo del lavoro pieno di insidie e di difficoltà all’ingresso, poi con la pensione che sembra diventare una chimera e la linea del traguardo che si allontana sempre più.

Una strada per accorciare il periodo lavorativo ed accedere prima alla pensione è rappresentata dalla possibilità di riscattare gli anni di laurea ai fini pensionistici.

Un’opportunità fornita dall’Inps.

Ma a che costi? E con quali vantaggi?

Lo abbiamo chiesto a Leandro Guarino, consulente del lavoro avellinese.

Dottore Guarino, per cominciare: a chi conviene riscattare gli anni di laurea ai fini pensionistici?

“Non è semplice rispondere a questa domanda. Il metro di valutazione, infatti, varia a seconda dell’età. E delle prospettive”.

In che senso?

“Se ho 35 e più anni di contributi versati, riscattare gli anni di laurea mi consentirebbe di anticipare il pensionamento di 4/5 anni, atteso che con le attuali norme, per la generalità delle casistiche, si accede al regime pensionistico con circa 42 anni di anzianità di contribuzione, ovvero al raggiungimento di un’età anagrafica di circa 67 anni.

E potrebbe costituire un vantaggio considerando che parliamo di un periodo di tempo in cui le modifiche al sistema pensionistico attuale saranno minime. Anche se il percorso avrà un costo importante, che può essere di qualche centinaia di migliaia di euro”.

E se, invece, ho 25 anni, mi sono laureato da poco ed ho appena firmato un contratto di lavoro?

“In questo caso avresti sicuramente un vantaggio di tipo economico, nel senso che il riscatto verrebbe a costare molto meno.

Il punto è: ma ne trarrò vantaggio al termine della carriera lavorativa? Chi inizia a lavorare oggi non sa a quanti anni andrà in pensione, per cui rischia di sostenere una spesa per ritrovarsi comunque a dover uscire dal mondo del lavoro probabilmente a più di 70 anni”.

Quanto costa riscattare gli anni di laurea?

“Dipende da alcune variabili. Il punto di partenza è la base di retribuzione sulla quale vengono calcolati i contributi (circa il 33% della base retributiva in godimento) che l’Inps accantona in riserva matematica.

Per cui, se oggi sei un giovane al primo impiego e guadagni 20.000 euro all’anno, riscattare gli anni di laurea ti costerà circa 6000 euro all’anno per i 4 anni del corso di studi. Naturalmente esistono delle forme di rateizzazione senza interessi che consentono di diluire il pagamento fino a 120 mesi”.

Il sistema di calcolo è uguale per tutti?

“Per quei soggetti che intendono riscattare periodi ante 1996 (precedentemente alla riforma Dini) il sistema di calcolo è invece diverso, basandosi su coefficienti e parametri anagrafici.

Anche chi è inoccupato (il giovane neolaureato) può riscattare gli anni del corso di laurea: in questo caso la base di calcolo è rappresentata dal minimale contributivo della gestione commercianti; in sintesi, per tale casistica, l’onere da riscatto è pari a circa 5.200 euro per anno”.

Se invece un lavoratore vuole riscattare gli anni di laurea quando si ritrova più avanti con gli anni?

“In teoria dovresti avere una retribuzione media più elevata.

L’importo per il riscatto aumenta quindi sia in funzione della retribuzione attuale sia in funzione del fatto che ti sei avvicinato all’ingresso in pensionamento.

E qui sul calcolo, e sulla stima di convenienza che il singolo è chiamato a compiere, incide anche la probabilità dell’aspettativa di vita”.

Cioè?

“L’Istat oggi dice che in Italia si vive in media quasi 83 anni, con differenze tra uomini e donne. Per cui, se l’età pensionabile di vecchiaia è 67 anni e tu hai 60 anni, riscattando gli anni di laurea, potresti andare in pensione a 62 o 63 anni.

L’Inps dovrà quindi dare un valore attuariale a quei 4 o 5 anni in più di potenziale erogazione della pensione, tenendo conto di quella che è l’aspettativa di vita”.

In definitiva, dottore Guarino riscatto si o riscatto no?

“In linea di massima ad un giovane è consigliabile perché l’importo da pagare per il riscatto degli anni di laurea non è elevatissimo e può essere pagato pro quota senza interessi.

Anche se resta un grosso punto interrogativo.

Dalla riforma Amato del 1992, passando per quella del 1995 firmata dal governo Dini, fino alla legge Fornero del 2012 ed ai relativi “aggiustamenti”, il sistema previdenziale italiano è stato – in maniera sostanziale – riformato una decina di volte. Bisognerebbe avere la sfera di vetro per sapere come si svilupperà in futuro il sistema pensionistico e poter dare un consiglio”.