È di poche settimane fa la decisione, da parte di enti pubblici italiani, di liberalizzare alcuni farmaci che procurano l’aborto, anche sotto la denominazione fuorviante di “contraccezione di emergenza”.
A tal proposito molte associazioni, tra le quali Pro Vita & Famiglia, ma anche altre realtà confessionali e non – come il Coordinamento Nazionale Iustitia et Pax, il sito CulturaCattolica.it e l’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina Sociale della Chiesa – sono intervenute per ribadire la propria contrarietà e anche per sensibilizzare alcune categorie sociali e sanitarie. In particolare, infatti, Iustitia et Pax, CulturaCattolica.it e l’Osservatorio Van Thuân, hanno lanciato un accorato appello ad una categoria di professionisti spesso “dimenticati” quando si tocca il tema dell’obiezione di coscienza: i farmacisti.
L’essere umano, secondo queste associazioni, va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita. Un diritto che però viene violato proprio dai mezzi tecnici (e le pillole) che agiscono dopo la fecondazione, quando l’embrione è già costituito, prima o dopo l’impianto in utero. Queste tecniche sono a tutti gli effetti intercettive – se intercettano l’embrione prima del suo impianto nell’utero materno – e contragestative, se provocano l’eliminazione dell’embrione appena impiantato.
Dettagli, se così si possono definire, non di poco conto, anzi fondamentali, che portano quindi la tematica dell’obiezione a stretto contatto anche e soprattutto con chi opera all’interno delle farmacie. Rifiutarsi di vendere questi farmaci abortivi in nome della legge morale naturale operando così un’obiezione della coscienza rispetto a una norma positiva percepita come gravemente ingiusta, rappresenta quindi un atto coraggioso e soprattutto legittimo per molti farmacisti, nonché una esplicitazione di un diritto che appartiene proprio agli operatori sanitari – e in questo caso ai farmacisti – contenuto nell’articolo 9 della legge n.194 del 22 maggio 1978.
Ovviamente chi produce questa tipologia di farmaci spesso nega la vera natura “abortiva”, in quanto per chi porta avanti gli interessi pro-aborto la persona umana inizierebbe ad esistere solo diverse settimane dopo il concepimento. Si tratta, però, di un’affermazione arbitraria e non scientifica, perché l’individuo inizia ad esistere “a partire dal costituirsi dello zigote”, cioè dal concepimento, come è ovvio anche solo dal punto di vista logico oltre che biologico e morale.
Affermazione che, però, non obbligano nessuno a seguire questa linea di pensiero, poiché, come le associazioni pro life hanno affermato nella loro lettera diretta ai farmacisti, “il cittadino non è obbligato in coscienza a seguire le prescrizioni delle autorità civili se sono contrarie alle esigenze dell’ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo. Le leggi ingiuste pongono gli uomini moralmente retti di fronte a drammatici problemi di coscienza: quando sono chiamati a collaborare ad azioni moralmente cattive, hanno l’obbligo di rifiutarsi. Oltre ad essere un dovere morale, questo rifiuto è anche un diritto umano basilare che, proprio perché tale, la stessa legge civile deve riconoscere e proteggere”. Infatti, sappiamo bene che “chi ricorre all’obiezione di coscienza deve essere salvaguardato non solo da sanzioni penali, ma anche da qualsiasi danno sul piano legale, disciplinare, economico e professionale”.
Un messaggio, quello rivolto ai farmacisti – molti dei quali da sempre in campo a favore dell’obiezione di coscienza – che dovrebbe arrivare ben chiaro anche e soprattutto a chi, pensiamo ad alcune femministe, tenta spesso, come accaduto in passato, di negare questo diritto, spesso con atti vandalici o richieste di “boicottaggio” ai danni delle farmacie che, in tutta Italia, si dichiarano pubblicamente pro life.
Lucia Scaletti