Piero Mastroberardino, presidente del consiglio di amministrazione dell’azienda vitivinicola irpina, legge l’anno che verrà provando ad andare oltre le preoccupazioni congiunturali ed i messaggi pessimistici che il contesto esterno restituisce. Lo fa mettendo al centro del ragionamento l’elemento umano. In primis, quello che si trasmette ormai da generazioni ai vertici di una forte azienda di famiglia.

 A seguire, con non meno centralità per lo sviluppo e la crescita aziendale, c’è l’attenzione al personale.

Un’attenzione che si sviluppa attraverso un rapporto orizzontale e non verticale

Piero Mastroberardino, si chiude un anno difficile per l’economia globale, con tanti condizionamenti che hanno evidentemente costretto tutte le aziende a rivedere le proprie programmazioni di medio-lungo periodo….

Penso che chi vive il proprio business in chiave non speculativa sappia e debba adottare una visione che guardi oltre le dinamiche congiunturali.

È presumibile che aziende multigenerazionali siano più avvezze a ragionare su programmi di sviluppo atti a tutelare il valore aziendale e a proiettarlo verso le generazioni che si stanno preparando a governare nel prossimo futuro. Famiglie imprenditoriali di questo genere di norma non prendono in considerazione la possibilità di uscire dal business, anzi spesso vi si identificano oltre ogni ragione persino economica e nei casi di maggior successo si tramutano in alfieri del made in Italy nel mondo.

Tra le risorse chiave è determinante avere consapevolezza del potenziale distintivo della propria marca familiare, che è incorporato nei valori di una storia aziendale unica e non replicabile, e saperlo utilizzare a presidio del proprio posizionamento, onde incrementare la percezione del valore ricevuto da parte del cliente.

Cosa si aspetta dal prossimo anno?

Dal prossimo anno mi attendo semplicemente che, al di là di ogni valutazione congiunturale, sia in linea con quello corrente e con i successivi nel progetto di consolidamento della nostra azienda in chiave di creazione e diffusione di valore tra i suoi diversi pubblici, con primario riguardo per chi vi lavora.

In molte realtà imprenditoriali, soprattutto quelle che operano sul locale ma strizzano l’occhio, grazie anche alle nuove tecnologie, al mercato globale, si è stabilito un patto tra management e maestranze. Per avere successo occorre remare tutti nella stessa direzione: come valuta il rapporto tra la sua azienda e il personale?

La mia famiglia ha sempre operato in piena sintonia con i collaboratori, coinvolgendoli nelle scelte di gestione e tenendoli anche edotti delle vicende familiari che più da vicino hanno interessato la gestione, come i numerosi passaggi generazionali che si sono succeduti in questi tre secoli di storia aziendale, secondo un modello di relazioni che non è scevro da profili di affettività. Ovviamente questo non esclude che si possano affrontare momenti delicati, ma lo spirito da parte di tutti è sempre stato quello di chi condivide un progetto d’impresa e se ne sente coinvolto.

Quali effetti ha avuto nelle dinamiche aziendali questa impostazione?

Tale visione è stata così intensa e costante nel tempo da portare ad annoverare tra i nostri collaboratori più generazioni delle stesse famiglie, a testimonianza di una cura dei rapporti umani e sociali all’interno dell’organizzazione che supera qualunque distinzione, e di un clima di reciproco rispetto e affetto.

Penso che la sintesi più efficace di tale concezione sia rappresentata da un elemento segnaletico che ci accompagna da generazioni: viviamo in azienda e le porte della nostra casa sono sempre aperte per loro.

Una delle chiavi utilizzate da aziende lungimiranti per consolidare e rafforzare il proprio successo è quella del Welfare aziendale: quali sono gli strumenti di w.a. che la sua azienda ha attivato?

“Si fa un gran parlare del problema del cuneo fiscale, ovvero della distanza irragionevolmente siderale tra i costi di gestione del personale che gravano sui conti aziendali e le somme di danaro che effettivamente giungono a beneficiare le famiglie dei nostri collaboratori. Questo gravame di oneri pseudo-fiscali in senso lato, non ben identificati né da chi li eroga, né da chi li vede più o meno artificiosamente transitare a proprio nome nei conti per poi deragliare altrove, lasciando le proprie buste paga più asciutte e leggere, oltre a mortificare la relazione tra azienda e lavoratore, è anche un segno evidente del gap di competitività del nostro sistema produttivo. Perché purtroppo di questo si parla, di risorse che le aziende pagano e i lavoratori non incassano, delle quali solo alcune trovano una reale giustificazione e svolgono un ruolo utile al sistema socio-economico. È il peso di una burocrazia che fagocita risorse riducendo l’efficienza di un sistema Italia che, non dimentichiamolo, compete sui mercati internazionali con altri sistemi-Paese. Dunque, ogni punto di competitività lasciato sul nostro inefficiente tavolo interno è un vantaggio offerto a chi compete con noi sui mercati internazionali.

Come si supera questo gap?

Ogni occasione in cui possiamo migliorare l’efficienza di questo rapporto è gradita e valorizzata. Dunque abbiamo usato ampiamente i piani di welfare aziendale al fine di accrescere il potere d’acquisto delle famiglie dei nostri collaboratori. Questo strumento si è aggiunto a numerosi altri investimenti che facciamo su basi regolari in favore delle famiglie dei nostri collaboratori da decenni. Ad esempio, è andato di pari passo con i programmi di crescita professionale, realizzata attraverso piani di formazione continua in azienda che finanziamo senza soluzione di continuità, la pianificazione delle carriere dei collaboratori all’interno, la forte presenza di un alto grado di managerializzazione anche ai vertici decisionali del gruppo. Basti pensare, a tal proposito, che sin dalla prima metà degli anni Novanta la nostra azienda ha aperto il proprio board di direzione a membri non familiari e da allora il board ha sempre registrato una quota maggioritaria di figure manageriali, a dimostrazione di un approccio non padronale alla gestione. Un simile messaggio riduce la naturale distanza tra i percorsi di crescita pianificati per i membri della famiglia e quelli dei managers puri, favorendo il rapporto con i collaboratori e rendendo il cammino professionale in azienda più stimolante per le ambizioni individuali e più confacente a risorse umane di qualità.

Nell’ultimo periodo quali strumenti sono stati attivati?

Venendo ai periodi più recenti, quest’anno, considerata la delicata fase di inflazione e di penalizzazione del potere d’acquisto delle famiglie, abbiamo inteso fare un gesto più ampio e visibile nei confronti dei nostri collaboratori: una quota degli utili aziendali è stata sottratta alla sua naturale destinazione di remunerazione della famiglia proprietaria ed è stata investita in favore dei nostri dipendenti, per dar loro una gratificazione economica aggiuntiva, che fosse un segnale tangibile dell’impegno della famiglia Mastroberardino in direzione del benessere delle loro famiglie.

Negli ultimi anni sembrano crescere le aziende Green-oriented. Avere una visione green però non si improvvisa, ma si coltiva. In questa chiave, quali plus ritiene che la sua azienda possa vantare e quali risultati si attende?

La nostra famiglia ha investito da oltre vent’anni sui temi della sostenibilità, declinata trasversalmente in tutti i protocolli di lavoro attualmente presenti in viticoltura, a partire dalla certificazione di sostenibilità in viticoltura del Ministero dell’Ambiente (VIVA), di cui siamo stati la prima azienda certificata a livello nazionale, passando per la certificazione sulla lotta integrata in agricoltura (SQNPI) e per i vari protocolli biologici sia in viticoltura che in olivicoltura.

Tuttavia siamo orientati anche a mettere in guardia rispetto all’abuso e alla strumentalizzazione di certi strumenti, alle pratiche di greenwashing che spesso pongono in crisi la credibilità di un approccio il cui ruolo e scopo non deve essere vissuto con ingenuità da parte del consumatore né con ipocrisia da parte del produttore/distributore.

Tali investimenti non devono cioè tradursi in uno spicciolo marketing tool da apporre sul prodotto al solo fine di venderne una unità in più o di spuntare un prezzo più remunerativo, come purtroppo nel recente passato pure è avvenuto.

Qua è la visione corretta?

Una visione corretta, a nostro avviso, deve condurre a certificare i sistemi aziendali di produzione e distribuzione in modo da garantire la tutela delle risorse in chiave economica, sociale ed ambientale a favore di chi verrà, in una prospettiva di più lungo termine e di più ampio respiro. Il rischio che quegli investimenti siano banalizzati e ridotti a mere campagne di promozione delle vendite nel breve è, purtroppo, tuttora elevato, come tante inchieste giornalistiche nel recente passato hanno evidenziato.

In conclusione, il concetto di green deve essere declinato in chiave di miglioramento delle condizioni e caratteristiche dell’offerta in favore dei consumatori, come fattore di accrescimento del valore per il cliente che favorisca il ritorno di quel valore all’impresa che lo diffonde, e non come un business per chi adotta tali piani o – peggio – per chi vende certificazioni.

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