Il Radici Taurasi 2017 dell’azienda guidata da Piero Mastroberardino che ha fatto conoscere al mondo intero i grandi vini Docg irpini, premiata da Wine Spectator.
Il 1986 è l’anno dell’incidente al reattore nucleare di Cernobyl, dello scandalo del vino al metanolo, della deludente partecipazione azzurra ai mondiali di calcio messicani.
Ma è anche l’anno in cui, per la prima volta, in un angolo dell’Irpinia più autentica e genuina, fu vendemmiato quello che, anni dopo, sarebbe divenuta una delle eccellenze della produzione vitivinicola irpina, quel Taurasi Radici che ha appena ottenuto uno dei più prestigiosi riconoscimenti internazionali.
La rivista americana Wine Spectator, considerata la più influente testata mondiale dedicata al mondo del vino, ha inserito il Radici Taurasi 2017 di Mastroberardino nella top 100 dei migliori vini del 2022.
Ad annunciarlo è stato lo stesso Piero Mastroberardino, attraverso un post sulla sua pagina social.
«La giornata inizia così: Radici Taurasi tra i migliori 100 vini del mondo del 2022 per Wine Spectator. Un vino che, a dispetto della relativamente giovane storia, è riuscito a segnare un’epoca» racconta il viticultore che guida l’azienda di famiglia.
«Non so davvero quali possano essere gli elementi che hanno maggiormente colpito la redazione di WS in merito al nostro Radici Taurasi 2017 – ammette Piero Mastroberardino -. Quel che posso dire è che quel vino ha assunto ormai da tempo l’immagine di una delle bandiere dell’enologia italiana, quei vini che hanno segnato un punto di svolta nella storia dei propri territori. Senza dubbio Radici ha avuto quel ruolo, ad opera di mio padre, Antonio Mastroberardino, che all’indomani del sisma del 1980 ideò quel progetto di rivoluzione in vigna e in cantina del concetto stesso di Taurasi».
Con il Radici Taurasi 2017 di Mastroberardino, l’altro unico vino campano presente nella top 100 2022 di Wine Spectator è il San Salvatore Falanghina 2021, due eccellenze che possono essere considerate i testimonial della produzione regionale nel mondo.
«Taurasi e Falanghina sono indubbiamente due vini fortemente rappresentativi – conferma Piero Mastroberardino –. Il primo è la punta di diamante della produzione regionale, il secondo si distingue per popolarità e gode di una massa critica che è condizione importante per collocare sulla mappa enoica mondiale un territorio. Dunque un connubio senza dubbio fortemente sinergico».
II riconoscimento assume una connotazione ancor di rilievo, considerando che Wine Spectator è riconosciuta come la testata più influente su scala mondiale.
«Il nostro compito è di difendere, attraverso la credibilità del nostro lavoro, quella di una intera regione viticola. La mia famiglia ormai da dieci generazioni si è dedicata a questa missione, con orgoglio e una buona dose di testa dura» rivendica il produttore irpino.
Mastroberardino, una storia imprenditoriale di successo e passione
Mastroberardino non è solo un brand di successo nel settore vitivinicolo.
E’ una storia che viene da lontano. Molto lontano.
Nell’economia moderna la forza di un brand si misura con il rapporto emotivo che riesce ad instaurare con il pubblico di riferimento.
Un rapporto che, spesso, va al di là del prodotto stesso che finisce con l’essere identificato con un marchio.
Una parabola, se ci si limita a guardare la produzione enologica irpina, che ha investito negli anni la famiglia Mastroberardino, il cui nome oggi viene immediatamente associato ai grandi vini irpini Docg di qualità che campeggiano ormai sulle tavole di tutto il mondo.
Una storia secolare quella dei vini griffati Mastroberardino, le cui origini risalgono addirittura alla metà del ‘700, allorquando gli avi di Piero Mastroberardino, attuale presidente dell’azienda che produce circa due milioni di bottiglie l’anno, stabilirono ad Atripalda la loro prima cantine.
Da allora, dieci generazioni di Mastroberardino si sono alternate alla guida di quella che è divenuto un fiore all’occhiello della produzione di vino made in Irpinia, incentrata innanzitutto sulla salvaguardia e la promozione della viticultura autoctona.
Ed in fondo, se oggi la provincia di Avellino può vantare un caleidoscopio di cantine disseminate nelle aree delle tre Docg – Greco di Tufo, Fiano di Avellino e Taurasi – parte del merito è anche di questo storico brand e dei suoi interpreti – enorme il contributo di Antonio Mastroberardino – che, da pionieri, hanno saputo promuovere, difendere ed affermare innanzitutto un territorio con le sue vocazioni naturali, le sue piantagioni centenarie e le sue abilità umane oltre a preservare l’antica cultura contadina dei luoghi pur abbinandola alle più moderne tecniche di produzione.
Tutta la storia del marchio Mastroberardino è ben condensata nella cantina di Atripalda, che sorge a pochi passi dai reperti archeologici dell’antica Abellinum, in cui si alternano la parte moderna con quella originaria, che conserva ancora l’antica pavimentazione settecentesca.
Ma il cuore pulsante della produzione dei vini Mastroberardino non può limitarsi, ovviamente, a quello che è il suo quartier generale.
Le tenute in cui insistono i vigneti che regalano la materia prima per le eccellenze dell’azienda, si distendono per ettari nei comuni di Mirabella Eclano, Montemarano, Santo Stefano del Sole, Lapio, Pietradefusi, Montefusco, Santa Paolina, Manocalzati, Montefalcione, Tufo, Petruro Irpino, Apice e, da alcuni anni, anche a Pompei, nel sito archeologico più famoso al mondo, all’interno del quale Mastroberardino, su incarico della Soprintendenza Archeologica, ha avviato il ripristino delle viti dell’antica Pompei.