Ci sono piatti che nel loro tramandarsi di generazione in generazione possono essere considerati a pieno titolo patrimonio culturale. Rappresentano la tradizione ma anche l’identità di un territorio.

In Campania quando si parla di Ragù bisogna fare bene attenzione ad essere ben preparati sull’argomento. Nel migliore dei casi, infatti, si rischia una colossale figuraccia laddove manchino le basi.
Così come quando ci si approccia ad un altro piatto “della domenica” che, a dispetto del nome, ha origini partenopee: la Genovese.
Ragù e Genovese sono due must della cucina campana, due sapori completamente diverse che, pure, hanno tanti punti di contatto.
Due piatti intorno ai quali si sono sviluppate letteratura e leggende, come quella che vuole che in ogni quartiere di Napoli esista una differente ricetta per ottenere il vero Ragù!
Con Francesco Pedace, patron de La Via delle Taverne di Atripalda, che sui piatti della tradizione campana ha costruito il suo percorso attraverso il gusto, abbiamo provato ad entrare nel cuore del Ragù e della Genovese.
Attenzione: la lettura che segue stimola l’appetito.

“In realtà si tratta di due piatti che hanno molto in comune – spiega Francesco Pedace – . Le carni che si utilizzano, ad esempio, sono le stesse: vitello e maiale. Si utilizzano vari tagli, muscolosi, nervosi, grassi: l’obiettivo è dare sapore.
Noi ogni pezzo di carne lo riduciamo prima in bocconcini, in modo che si sfaldino completamente nel sugo.
La sostanza e la consistenza ai due sughi viene data, poi, nel caso del ragù dal pomodoro, nel caso della genovese dalla cipolla.
Altro elemento comune è la cottura. Che deve essere lunga e lenta. Il nostro Ragù e la nostra Genovese cuociono ventiquattro ore, nel verso senso della parola. Alla fine, la quantità di sugo che resta in pentola è meno della metà di quello iniziale”.
Perché pur essendo due ricette a prevalente vocazione casalinga, il Ragù e la Genovese sono tra i piatti più richiesti dagli avventori della Via delle Taverne ?
“Il motivo più che legato al gusto è di carattere pratico. Con i ritmi odierni ci si dedica sempre meno a preparare ricette che richiedono tempo.

E, poi, nel caso della genovese bisogna fare conti con gli effetti collaterali della cipolla: le lacrime e l’odore.
Ed allora, ecco che in molti ce lo chiedono per rievocare profumi e sapori di un tempo, che non riescono a riproporre nelle proprie case.
Qualche aneddoto da raccontare ?
“Ricordo– continua il deus ex machina de La Via delle Taverne – di un cliente che aveva circa 90 anni e che di fronte ad un piatto di ragù si commosse perchè aveva ricordato il sapore di quando era bambino e delle “mazzate” che riceveva dalla mamma la domenica mattina quando veniva sorpreso a bagnare il pane nel sugo che “pippiava”!
Come ogni chef, anche quelli de La Via delle Taverne hanno i loro segreti per rendere più appetibili i loro piatti.
Difficile far sbilanciare in tal senso Francesco Pedace che, però, qualche indizio se lo lascia sfuggire.
“Nel Ragù è fondamentale il concentrato di pomodoro, quello che un tempo si otteneva essiccando al sole i pomodori. Per la Genovese, meglio la Cipolla Ramata di Montoro, meno aggressiva delle cipolle bianche e meno dolce di quelle rosse”.
Il Ristorante La Via delle taverne è in via Teodoro Momsen 11/13 (di fronte alla Clinica Santa Rita) ad Atripalda (Avellino). Il Sabato sera si cena con la Posteggia Napoletana.
Per informazioni: 0825-622564, 348-7759249. Pagina facebook