Scopri Rocca San Felice in provincia di Avellino, un luogo unico che per Virgilio era l’ombelico dell’Italia del sud e per i viaggiatori un posto incantato.
Da Virgilio a Franco Arminio, passando per Cicerone, Plinio e Vincenzo Maria Santoli, quest’angolo d’Irpinia che ricade nel territorio di Rocca San Felice continua ad attirare curiosità e produrre fascino in misura direttamente proporzionale alle emissioni di anidride carbonica e acido solforico che il sottosuolo spinge all’aria aperta, alimentando storie e leggende. Ma anche sapori unici al mondo.
«Est locus Italiae medio sub montibus altis, nobilis et fama multis memoratus in oris, Amsancti valles; densis hunc frondibus atrum urget utrimque latus nemoris, medioque fragosus dat sonitum saxis et torto vertice torrens». Così narrava Virgilio nell’Eneide per descrivere quel posto nel mezzo dell’Italia sotto monti alti celebre per fama nelle contrade: la Valle d’Ansanto.
E’ proprio qui, in questo lago strano che soffia veleno, come un tempo si credeva, che Virgilio colloca uno degli ingressi agli inferi che attraverserà, da vate, insieme a Dante Alighieri nella Divina Commedia.
La Valle d’Ansanto
L’Irpinia dei misteri, della natura straripante e degli incantevoli panorami si concentra in una piccola regione, la Valle d’Ansanto, l’ombelico del sud Italia, che ha affascinato scrittori, poeti, oratori e studiosi di ogni epoca.
In questo luogo, sacro agli antichi al punto da averci eretto un tempietto alla Dea Mefite, dea della fertilità e dell’abbondanza, del quale sono stati rinvenuti resti conservati nel Museo Irpino di Avellino, con il passare del tempo miti e leggende si sono succeduti proprio per la presenza di questo lago che ribolle e rilascia sostanze venefiche.
Che, con il trascorrere dei secoli, da luogo sacro si trasformò in luogo nefasto, facendo nascere la convinzione che quest’apertura terrestre vomitasse fuori animali morti.
Niente di più errato: di carcasse ai bordi di quest’area non vulcanica che emette gas nocivi se ne sono contate un’infinità. Ma di animali che hanno avuto solo la sventura di avvicinarsi troppo al piccolo cratere, rimanendo vittime delle esalazioni.
L’area della Mefite
Oggi sulla Mefite si spalanca un punto di osservazione, mira di curiosi e turisti.
Un cartello avverte di non avvicinarsi troppo all’area. I venti, che soffiano forte sull’intera Valle d’Ansanto, di tanto in tanto spandono nell’aria circostante odore di zolfo, che si intensifica a seconda delle direzioni.
Un odore talmente forte che ricopre, insieme a microscopiche particelle, i terreni circostanti, conferendo un sapore unico e particolare al foraggio brucato dagli ovini della zona.
Il pecorino carmasciano
Il risultato? Il pecorino Carmasciano, un prodotto caseario unico, che proprio grazie alle note aromatiche dei pascoli non trova eguali in alcuna altra zona.
Un formaggio frutto di tecniche secolari, prodotto in quantitativi limitati che sono commisurati alle dimensioni dei pascoli “sulfurei”.
Visitare la Valle d’Ansanto, oltre ad un tuffo nella natura e nei misteri geologici, significa anche immergersi nella storia e nella straordinaria capacità di preservare luoghi e tradizioni della gente d’Irpinia.
Rocca San Felice
Rocca San Felice è uno dei più straordinari esempi di ciò che questo lembo di Campania potrebbe (e dovrebbe) essere ma non sempre è.
Un piccolo borgo che non arriva a 800 abitanti che hanno però saputo prendersi cura della propria storia, preservandola e tramandandola, superando attacchi nemici e terremoti.
Il primo impatto con la piccola piazza di Rocca San Felice è con il monumentale tiglio che sta lì non solo a regalare refrigerio e raccogliere voci, commenti e storie nelle sere d’estate, ma anche a ricordare il valore supremo per il quale gli antenati rocchesi si batterono nel corso della Rivoluzione del 1799, anno in cui l’albero fu piantato proprio per trasmettere in futuro la memoria di quei moti.
Attraverso i vicoli che si dipanano dalla piazza centrale, arricchita dalla fontana storica, ci si inerpica poi, lungo re muredde, gradoni in pietra che conducono al Donjon, la Rocca fortificata edificata dai Longobardi.
Salendo le scale si incontra la bella Chiesa intitolata a Santa Maria Maggiore, costruita intorno all’anno Mille, distrutta dal terremoto del 1980 e poi riedificata negli anni ’90.
Tra le abitazioni che danno vita a vicoli in ascesa, spicca il Palazzo Santoli-Laudisi. Addentrandosi nei vicoli stretti, balza all’occhio la cura dei luoghi, non solo delle aree private ma anche di quelle pubbliche. L’olfatto è attratto dagli odori di cucina che provengono dalle finestre e dalle porte delle case che si aprono lungo il tragitto.
Ed eccola, la Rocca, che si erge a circa 750 metri d’altezza al culmine di una roccaforte di cui oggi restano visibili il portale d’accesso, la cinta muraria e la torre. Alcuni oggetti in ferro a corredo del cortile del castello ricordano il declassamento a officina di un fabbro che subì la Rocca.
Come ogni castello che si rispetti, anche quello di Rocca San Felice ha la sua leggenda ed il suo fantasma che si aggira tra le mura nelle notti di luna piena.
E’ quello di Margherita d’Austria, moglie di Enrico II di Svevia che il padre, Federico II, fece imprigionare. Alla morte del marito, avvenuto a seguito di un incidente durante il trasferimento da una prigione all’altra, la donna si recò a più riprese a Rocca San Felice, convinta che fosse quello il luogo in cui il marito aveva trovato la morte.
Dove mangiare
Percorrendo via Ospedale, una delle strade del centro storico di Rocca San felice ci si imbatte nella Ripa, ristorante museo (per prenotare: 0827 215023), tappa obbligata per chi ama il mangiar bene.
La cucina qui è perfettamente integrata con il territorio lasciando poco spazio a esplorazioni che si allontanano dall’essenza di questi luoghi. Ricerca e territorio è il mantra del proprietario che dai primi anni Duemila porta avanti con straordinari risultati.
Il menù è un trionfo di prodotti della terra, ma anche di baccalà, il pesce di montagna per la sua capacità di lunga conservazione sotto sale.
Il Carmasciano, manco a dirlo, è il re della tavola, affiancato da lardo irpino e dal tartufo nero di Bagnoli Irpino. La pasta è preparata rigorosamente a mano e condita con ragù di salsiccia, di agnello o genovese di vitellino. Le carni locali offrono la base per i secondi piatti: stracotti, polpette e brace non mancano mai.
Sui dolci, il vero trionfo di creatività e gusto condensato nel Cono con ricotta di Carmasciano mantecata e pera su salsa di cacao amaro.
La carta dei vini non si discosta molto dalla logica territoriale del menù: e presenta una scelta ragionata tra le migliori cantine della zona.
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