La cannabis è una pianta che fa parte della quotidianità dell’uomo da tempo immemore. Utilizzata in diversi ambiti, dall’edilizia fino all’industria tessile, è un mondo tutto da scoprire. Entrare nel dettaglio delle sue caratteristiche significa, per forza di cose, chiamare in causa i semi di cannabis.
Come forse già sai, ne esistono diverse tipologie. Tra queste, è possibile citare gli autofiorenti. Caratterizzati dal fatto di non essere fotoperiodici – ciò significa che non esiste necessità di regolare l’illuminazione per avere a che fare con la crescita – fioriscono in tempi rapidi e permettono di apprezzare piante di dimensioni contenute, il che rappresenta un grande vantaggio per chi ha poco spazio in casa o sul balcone.
A questo punto, ti starai chiedendo quale sia la storia di questi semi di cannabis rivoluzionari, tra i più apprezzati dai principianti. Non devi fare altro che proseguire nelle prossime righe per scoprire la risposta a questa domanda.
Semi autofiorenti: come tutto è iniziato (e l’evoluzione nel tempo)
Per raccontare la storia dei semi di cannabis autofiorenti è necessario, per forza di cose, fare un salto indietro nel tempo a metà degli anni ‘20, quando è stata scoperta la varietà di Cannabis ruderalis, tipica di zone del mondo fredde come la Russia. Tra gli aspetti che colpirono subito gli esperti di botanica spicca la sua capacità di fiorire in maniera rapida. Da non trascurare sono anche le dimensioni ridotte (fatta eccezione per alcune varietà).
Dal 1924, la popolarità della Cannabis ruderalis crebbe a dismisura. Una nuova svolta nella storia dei semi di cannabis autofiorenti iniziò attorno agli anni ‘70. A quei tempi, infatti, alcuni breeder iniziarono a rendere la ruderalis protagonista di diversi ibridi.
Nella maggior parte dei casi, l’obiettivo era quello di creare un ibrido il più stabile possibile.
Per poter parlare di una nuova tappa di rottura nella storia della cannabis autofiorente, è necessario arrivare all’alba del terzo millennio (sì, i semi attorno al quale ruota questo articolo sono relativamente giovani). Parliamo del 2000, anno in cui è stata lanciata in commercio la Lowryder. Quando la si chiama in causa, è necessario ricordare il suo essere la prima autofiorente ad aver guadagnato successo su larga scala.
Per amor di precisione, è il caso di rammentare che la Lowryder 2 è, oggi come oggi, la genetica di cannabis con migliori dati di vendita in Europa. Dietro a questa innovazione c’è Joint Doctor, uno dei breeder più famosi del mondo, nonché figura avvolta dal mistero.
Nel corso delle poche interviste che ha rilasciato negli anni, ha affermato che, fin dai suoi primi approcci al mondo della cannabis, il suo obiettivo è stato quello di creare delle genetiche di dimensioni contenuti (traguardo che, a suo dire, ai tempi era comune a molti altri breeder in Europa).
Tornando alle caratteristiche della sua creatura più famosa, la già citata Lowryder, ricordiamo che si tratta di una pianta che, in linea di massima, raggiunge un’altezza di 40 centimetri. Per quanto riguarda i tempi di fioritura, ricordiamo che si aggira fra le 6 e le 7 settimane.
Raccontare la storia della cannabis autofiorente vuol dire parlare anche delle critiche ricevute. Nel caso specifico della Lowryder, le voci contrarie si sono pronunciate, nel corso del tempo, puntando il dito contro quelli che venivano descritti come effetti scarsi. Il motivo di questo punto di vista può essere connesso al basso contenuto di THC.
Come specificato nelle righe precedenti, dopo la Lowryder è arrivata la Lowryder 2, considerata di maggior qualità. Da allora, le varietà di cannabis autofiorente sono cresciute tantissimo dal punto di vista numerico.
Coltivare questi semi, ribadiamo, è molto semplice. Quello che conta è non esagerare con i rinvasamenti, utilizzare stimolanti radicali e, come punto di partenza, un terreno il più possibile arioso.