Facebook rilancia spesso dialetti, modi di dire e detti avellinesi. Tra un esercizio di memoria ed un sorriso, ecco come si preservano le radici di una comunità.
Riscoprire e consolidare le radici di una comunità attraverso i social network, tra un modo di dire ed un’espressione desueta, tra un proverbio dimenticato ed i nuovi must dello slang giovanile.
“Stordo” e “Pepe” per l’avellinese Doc.
In principio furono “Stordo” e “Pepe”, le due offese per eccellenza che individuano, al di là di ogni ragionevole dubbio, la provenienza di chi le profferisce.
Col tempo, e grazie all’effetto moltiplicatore della condivisione sui social network, ecco che una serie di espressioni, alcune che ai più grandi rimandano la memoria all’infanzia e all’adolescenza altre che, invece, in uso prevalentemente ai giovani d’oggi, testimoniano l’evoluzione dei costumi di una comunità attraverso il linguaggio.
E già, perchè in fondo l’obiettivo della pagina è proprio questo: evidenziare la potenza della parola che diventa lingua, intesa come elemento caratterizzante e distintivo di un popolo e del territorio su cui insiste.
Modi di dire avellinesi.
Ed allora, quella di chiedere ai cittadini qualche idea per realizzare delle magliette con su impresse le più tipiche frasi che contraddistinguono l’avellinese, non solo sta riscuotendo un incredibile successo tra gli utenti del web, ma si sta rivelando un incredibile dizionario ricco di spunti, alcuni dei quali strappano inevitabilmente un sorriso: per la loro sonorità, per il significato intrinseco o, più semplicemente, perchè richiamano alla mente momenti di vita vissuta.
Qualche esempio?
Dall’inflazionato “Tu a chi appartieni?” domanda che ognuno di noi si è sentito rivolgere sui marciapiedi del Corso almeno una volta nella vita, a espressioni come
- “Si ‘na capa e’ ‘mbrella”, “Appicciti”, “’Mbicchiti”,
- “Ralli”, “Si ‘no lappazzo”, “Non mettimm’ ‘e mamme ‘mmiezo”,
- “Puozz’ jettà ‘o sang”, “Puozzi fa e mano come i pieri”, “Si na funa rotta”,
- “Statt’ ‘a casa”, “Puozzi fa l’ove fracete”.
I proverbi avellinesi.
E, poi, ci sono quelli che suonano come veri e propri proverbi avellinesi:
- “Peppo pe Peppo mi tengo a Peppo mio”,
- Addo’ no’ sonino campane, non ci stanno pottane
- Si ogni fesso portasse ‘na frasca, ‘o munno fosse ‘no vosco.
- “’Nfacc’ a parito fatt’ ‘a barba”,
- A’ faccia e chi ci vò male
- ‘A cerevella è ‘na sfoglia (no sfuoglio) ‘e cipolla
- “Vicino ‘o masto, porta a cardarella”,
- “Aucielli s’accocchiano ‘ncielo e i chiaveche ‘nterra”,
- “Roppo chiuoppeto che bell’acqua”,
- “Quisto è o’ ligname!”,
- Addò coglio coglio
- A’ Maronna t’accompagna!
- Mannaggia ‘e suricilli.
- “’Ruoccolo è figlio a’ rapa”,
- “T’aggia mparà e t’aggia perde”,
- “Fenilla ca si gruosso”.
- Abbara addò vai!
- Abbara a ro mitti i pieri
- Acala che ‘o vinni
- ‘A carn’ sott e i maccaruni ncopp
- Accattati i fierri buoni e fatti pavà
- Acchiappa pe’ prima, fossero pure mazzate
- Accossì, giusto pè ffa a berè
Ovviamente la lista delle espressioni tipicamente avellinesi è molto più lunga e corposa.
E, soprattutto, molto più colorita. Ed esilarante.
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