Luca Abete svela il flop a cui deve tutta la sua determinazione, quella che l’ha portato al successo nel programma tv Striscia la Notizia su canale 5.
Tutti lo conoscono come inviato di Striscia la Notizia. La sua pelata, le sue pigne, la sua giacca verde ogni sera, dal 2005, entrano nelle case degli italiani attraverso i servizi di denuncia che propone dalla sua regione di origine, la Campania. Ma in pochi, forse, sanno che Luca Abete ha iniziato il suo percorso artistico, facendo l’animatore ai matrimoni.
Proprio il racconto della sua esperienza è al centro del tour motivazionale #NonCiFermaNessuno che, dal 2014, l’inviato conduce nelle università italiane, cercando di stimolare i giovani a credere in se stessi e a non provare scoramento di fronte alle difficoltà della vita.
E’ vero che hai iniziato intrattenendo i bambini?
«Si. Ai tempi dell’università, decisi di fare l’animatore per guadagnare qualche soldino. Ero impegnato in quei matrimoni che sono veri e propri sequestri di persona, che iniziano a mezzogiorno e finiscono a mezzanotte. L’animatore ai matrimoni non era altro che quel poverino che provava a domare quei nanetti lanciatori professionisti di cotolette e patatine fritte. Ebbene si facevo un lavoro umile».
Cosa ti ha lasciato quell’esperienza?
«Lì ho capito che non esistono lavori umili, ma modi umili di fare i lavori. Io non mi comportavo come un bambinaio qualunque, ma come se fossi un incredibile protagonista. Mi sentivo una star semplicemente perché stavo facendo le cose per bene».
Qual è il valore di fare le cose per bene?
«Indipendentemente dal fatto che volessi diventare architetto, io mi impegnavo comunque. Dopo averne capito il valore ho fatto in modo che “fare le cose per bene” divenisse il mio stile di vita. È questo uno dei segreti che può cambiare le cose. Immaginate se in Italia iniziassimo tutti a fare le cose per bene… in che paese vivremmo!».
E’ sufficiente fare le cose per bene per raggiungere gli obiettivi prefissi?
«Oltre a fare le cose per bene credo possa essere utile non smettere mai di sperimentarsi. Gli studiosi dicono che ognuno di noi si muove in un’area di confort: un’area immaginaria comoda e sicura, fatta di abitudini e azioni consuete ben collaudate. Io credo che mettere il piede fuori da quest’area è il miglior modo per andare incontro alla propria fortuna».
Per te è stato cosi?
«Sì e l’ho compreso quando ho fatto per la prima volta il clown. Mi chiamarono dicendomi che il clown che di solito si esibiva era malato e mi chiesero di sostituirlo. Si trattava di uscire dalla mia area di confort, ero scettico, avevo paura di fare una figuraccia, ma accettai. In 24 ore imparai a truccarmi, a vestirmi e a fare qualche gag ma il risultato fu catastrofico: non rideva nessuno».
E poi cosa è successo?
«Semplicemente non ho mollato. Ho provato a specializzarmi, a fare le cose per bene per diventare più bravo. Così il mio spettacolo divenne sempre più richiesto, guadagnavo di più, lavoravo di meno e la figuraccia dell’esordio divenne un lontano ricordo».
Agli studenti italiani parli spesso di serendipità. In fondo la tua storia è proprio un bell’esempio di serendipità.
«E’ proprio così. Ho iniziato una attività senza neanche crederci troppo. Un imprevisto, poi, mi ha offerto l’occasione di intraprendere un nuovo viaggio straordinario. Se mi fossi tirato indietro al primo intoppo inaspettato non sarei mai arrivato a Striscia».
Quanto è stata utile la tua esperienza come animatore per arrivare a Striscia?
«Credo sia stata fondamentale. Il primo servizio, nel 2005, con il voto dei telespettatori mi avrebbe potuto far entrare nella squadra di Antonio Ricci. Io non ho avuto bisogno di metter su un comitato elettorale per farmi votare e vincere: tutte le famiglie, tutti coloro che mi avevano apprezzato per la mia generosità, per la disponibilità, per il mio modo di fare le cose per bene si adoperarono per sostenere quel ragazzo così disponibile e adorato dai propri figli. In sostanza il mio sogno era diventato il loro sogno».
Bè una gran bella soddisfazione.
«Io l’ho chiamata “la Legge del clown”: provare piacere nel dare, senza voler nulla in cambio. Un clown regala se stesso senza aspettarsi nulla. Gode nel far star bene il prossimo. E io semplicemente facendo le cose per bene e accettando le sfide che la vita mi offriva mi ritrovavo un esercito al mio fianco pronto a sostenermi. La verità, quindi, è che il mondo in fondo non è infame come dicono. Perciò dico sempre ai ragazzi: fate come farebbe un clown, date senza voler nulla in cambio».