A sipario chiuso – La recensione dello spettacolo teatrale dedicato al celebre burattino creato dalla fantasia di Carlo Collodi.
Apparsa per la prima volta nel 1881 sul “Giornale per i bambini”, la storia del celebre Burattino fu in seguito pubblicata nel 1883, in un libro dal titolo ” Le avventure di Pinocchio” in cui, l’autore Carlo Collodi rivalutando l’arguto sapore dell’ambiente schiettamente popolaresco e fiorentino dove crebbe, istintivamente si preoccupò di raffigurare Pinocchio come un anima predestinata al bene.

Non a caso, il racconto è scandito da un continuo susseguirsi di fughe che ne segna e ne definisce il tema : la fuga dalla casa di Geppetto, la fuga dagli assassini, dalla casina della Fata, dai carabinieri, dal Pescatore Verde, dal Paese dei balocchi, dalla Balena ( o Pescecane ).
Ciò nonostante un Pinocchio sempre pronto a riabilitarsi dalla apparente fama di discolo, nell’offrirsi a Mangiafuoco al posto di Lucignolo e nella affannosa ricerca di Geppetto, per un encomio solenne della buona volontà e della buona fede, in uno stretto rapporto con l’umana fallibilità.
E così, la redenzione definitiva del Burattino si concretizza con le umane fattezze e in una “umana” famiglia.
Libero, scanzonato, birichino e discolo burattino di legno, pur destinato a trovare la sua natura di cuore generoso e buono, Pinocchio non sa resistere ad alcuna tentazione, allettato dal vivere alla grande, in letizia e senza fatica.
Ma alla fine sacrifica la libertà al perbenismo, nella morale di un finale necessariamente attraente, ma triste nella sua allegoria, provocata e coadiuvata dalle Figure correlate a racconto e messinscena, ognuna didascalica, di un incontro-scontro con la vita e contemporaneamente essenziale per la maturazione del nostro eroe.
Non poco per un racconto destinato ai fanciulli, che è stato esaminato, studiato e sviscerato da esperti letterati e pedagoghi alla ricerca di simbolismi e significati.
Giustamente, quindi, Saverio Marconi, nella sua sapiente e prepotente Regia, abbandona la tradizione Disneyana e parte dal racconto, per una rielaborazione e trasposizione eccellente che fa “Grande” il musical: potenti coreografie e sontuose scenografie mobili e praticabili che ospitano riflessioni, allegria, pensieri, divertimenti e propositi e ancora effetti speciali, apparizioni e sparizioni tra mille interrogativi e stupori.
Ma nonostante delle incongruenze dovute a tagli e aggiunte nella integrità del racconto che suscitano interrogativi e perplessità, la commedia musicale (ritengo giusto definirla così) si rivela un evento da ricordare e raccontare.
Fanno la loro parte, e alla grande, le melodie e le canzoni dei Pooh, e lo straordinario cast, in gran parte proveniente da Grease, e come tacere dei costumi, delle luci, dell’energia e della straordinaria coralità.
E naturalmente lui, Manuel Frattini. Frattini-Pinocchio, Pinocchio-Frattini.
Presenza, voce ancora più potente e bella, e una rara e smisurata empatia con ogni cosa che parla di danza e di acrobazia consentono e giustificano la affermazione di un critico: Manuel Frattini assurge a “incarnazione” del musical.
Qualcuno, attento fruitore delle mie recensioni, penserà: possibile mai, nessuna nota negativa?
Beh! Un piccolo disappunto in una marea di bello, di entusiasmo, di applausi, di gradimento e di consenso.
Probabilmente manca, e si sente, la “canzone”, quella che ti resta nella testa, quella da cantare il giorno dopo.
(Foto di Alessandra Valentino scattate durante lo spettacolo andato in scena al Teatro Carlo Gesualdo di Avellino)